L’allegri furioso un grande amore con troppe cadute

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ROME, ITALY - MAY 15: Danilo of Juventus and his teammates celebrate the winning of the Italian Cup and raising the trophy after the Coppa Italia final match between Atalanta BC and Juventus FC at Olimpico Stadium on May 15, 2024 in Rome, Italy. (Photo by Daniele Badolato - Juventus FC/Juventus FC via Getty Images)

Tutto è cominciato nel momento in cui Andrea Agnelli – dopo la scelta az­zardata di affidarsi a Maurizio Sarri per una non chiara idea di bel gioco e quella affrettata di puntare sull’esordiente Andrea Pirlo per stupire ad ogni costo – decide di, in retromarcia, riportare Massi­miliano Allegri sulla panchina della Juventus. È il 28 maggio 2019. Allegri era stato il tecnico dei cinque scudetti consecutivi dopo i primi tre del ripudiato Antonio Con­te. Aveva stabilito un feeling perfetto proprio con il presidente, era diventato l’allenatore preferito dai tifosi della curva, aveva accompagnato la squadra nel­la cavalcata imperiale tra scudetti e altri trofei, più due finali della coppa maledetta, la Champions. Ma quella decisione, enfatizzata da un contratto illimitato nella fiducia, nella durata e soprattutto nelle dimensioni dell’ingaggio, si configura come un errore. È un punto di non ritorno, l’inizio dei guai. Fino all’epilogo della scorsa settimana.
C’era una Juventus e ora ce n’è un’altra. Prima era il club di Andrea Agnelli, il manager tifoso visionario e aggressivo, artefice dell’apoteosi di scudetti consecutivi ma anche della successiva discesa. Grandi intuizioni e grandi battaglie: la temeraria guerra in chiave Superleague, il blitz per Ro­naldo e l’addio al dg Marotta, le intercettazioni e la squalifica, l’uscita di scena con ricadute sulla squadra fino all’esclusione dalle coppe. Allegri ha navigato in questi mari e ha continuato a farlo senza Agnelli, nel crescente vuoto dirigenziale (da lui stesso alimentato: via il dirigente Calvo, poi niente dialogo con Giuntoli), ha avocato a sé ogni incombenza rappresentando di fatto il club nel bene e nel male. Nella stagione delle penalizzazioni, ha fatto di necessità virtù, ha salvato il salvabile, attenendosi alla linea dell’austerity, dei giovani da lanciare e valorizzare (ma ci sono anche, al contrario, svalutazioni clamorose come quella dell’esperto argentino Di Ma­ria). E infine, sempre seguendo le direttive, ecco quest’anno la qualificazione in Champions League e perfino un trofeo, la Coppa Italia.
Però intanto, in campo, si sprecavano i record negativi, le figuracce inedite da Monza a Monza (due ko su due). Lo Stadium, un tempo inespugnabile, diventava terra di conquista anche per i debuttanti, non solo per le rivali di sempre. Le fiammate dei giocatori di talento, quelli che non possono mancare a un club così, hanno riportato in alto la squadra, esaltando le qualità gestionali dell’allenatore, da sempre abile nel trattare con i campioni. Un vecchio maestro di calcio, fieramente legato alla vecchia scuola, toscano dall’ira in­combente e dall’ironia sottile ma debordante, con cui si presenta armato fino ai denti nelle conferenze stampa. Spavaldo nella sua idea vintage di un gioco semplice, paragonabile alle corse di cavalli che tanto ama, per cui la dilagante “moda” di aggiornamento e studio aveva già meritato in risposta, da parte sua, un sereno e dichiarato anno sabbatico.
L’ultima parte dell’avventura assume poi contorni irreali. La squadra non conosce altra via che la difesa estrema e il contropiede, alcune partite sono semplicemente inguardabili. Allegri contro tutti. E i ragazzi sono con lui. Altre partite esaltano qualità e mestiere, così si arriva a uno scontro diretto che pone straordinariamente la Juve sullo stesso piano della capolista Inter, a distanza di aggancio. La sconfitta inaugura una lunga astinenza, a parte alcuni risvegli strategici per arrivare agli obiettivi. Ora ciò che è accaduto in quel momento appare più leggibile. Come il rapporto impossibile con il ds Giuntoli, toscano di indole opposta. L’ex artefice del Na­poli scudettato ha un’altra idea di calcio e, in testa, altri allenatori. Si muove di conseguenza. In tv recita: «Siamo contenti di Allegri». Il bluff si vede. L’al­lenatore, blindato dal contratto da 9 milioni all’anno, va avanti per la sua strada senza informazioni sul futuro, covando smania di vendetta. La conquista della Coppa Italia pare l’occasione giusta. Allegri “sbrocca”. Tra­sforma la festa in una tragedia dove fa da primattore. Com­bina cose che l’Agnelli di una volta avrebbe aborrito, mentre per l’Agnelli di adesso sono chicche di juventinità. I tempi cambiano.
Ed ecco l’esonero con questioni legali annesse, perché la furia messa in scena in diretta tv aveva trovato un seguito nei corridoi dell’Olimpico. Ora che tutto è finito, e che Paolo Montero ha preso il timone, il carrozzone social ha avviato l’opera di beatificazione di Max, completando la spaccatura tra allegriani e oppositori. Il tecnico è diventato il simbolo della rabbia contro arbitraggi sconcertanti, le verifiche Var inspiegabili e manovre di pa­lazzo spesso oscure. Restano quegli eccessi in diretta tv. Tra campo ed extra campo, un calcio minore brutto da vedere e da giocare. Sullo sfondo restano anche le vittorie, certo. I risultati. Terreno di diatriba filosofica con i “belgiochisti” eterni rivali. Il metro di paragone ineludibile, quello con cui dovrà confrontarsi fin dal primo momento il successore di Allegri.

Compleanni vip: 42 anni per Andrea Delogu mentre Joan Collins ne festeggia 91
Giorno di anniversari anche questo 23 maggio, giorno in cui esce IDEA. La conduttrice televisiva e radiofonica Andrea Delogu, per esempio, compie 42 anni. Festeggia anche Claudia Lagona ovvero Levante (37) – cantante nata a Catania ma che ha trascorso un periodo significativo della sua vita a Torino – che si appresta a spegnere candeline. Tra i nati oggi c’è anche l’attore toscano Massimo Ceccherini che taglia il traguardo dei 59 anni. E concludiamo con i 91 anni di Joan Collins: «L’età è un numero totalmente irrilevante. A meno che tu non sia una bottiglia di vino», ha dichiarato l’attrice inglese.