«Anche nel vino vince chi sa unire le forze»

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David Way vive in Inghilterra, è un ri­cercatore e so­prattutto scrive di vino, con una particolare predilezione per l’Italia e la Francia. Si occupa inoltre di realizzare le guide di studio per i corsi Wset “Diploma in Vini” che tiene a Londra. Nel suo libro “The Wines of Piemonte”, dedicato al mon­do enologico del nostro territorio, attraverso un dialogo diretto con i produttori, indaga il rapporto tra un luogo e il singolo vitigno che si coltiva e come questo definisca l’anima dei vini della regione. Lo abbiamo intervistato.

David, lei viene spesso il Ita­lia per motivi di lavoro. Re­centemente sono ripartite le fiere dedicate ai vini: qual è la sua opinione?

«Quest’anno l’atmosfera della fiera cui ho partecipato, Vini­ta­ly, era meno caotica e più professionale. I consorzi sono ancora molto diversi in termini di responsività, alcuni mi hanno dato un appuntamento subito, altri non hanno risposto, immagino perché, essendo realtà piccole, non abbiano ancora sufficienti risorse».

Intende dire che non esiste ancora una comunicazione uniforme?
«Esatto. Generalizzando si può affermare che i produttori italiani siano fantastici da soli ma che forse debbano ancora migliorare la loro ca­pacità di lavorare unendo le forze. Mentre nelle Langhe esistono già realtà “collaborative” collaudate e ad Asti e nel Monferrato so­no fantastici per il loro entusiasmo, nel­la provincia di Torino, molti si stanno ancora organizzando. Diversi produttori, d’altra parte, stanno ancora crescendo ed è normale che si dedichino più al mercato locale».

Difficile decidere la direzione da prendere, forse.
«La domanda da porsi è: voglio che la stampa estera racconti la mia storia? Quan­to è importante questo per me? Se vendi ai tuoi clienti storici, non ti serve. Se invece vuoi che il tuo nome arrivi nei ristoranti del mondo, allora potrebbe essere importante».

Sui social media siamo invasi da influencer, sommelier, pro­duttori che postano loro avventure enologiche tra vi­gne, degustazioni e botti. Sem­bra sia nata una generazione di “wine teller”. Le sue impressioni?
«Nonostante la quantità di ma­teriale online c’è sempre distanza tra la storia e il prodotto reale. Non importa quanto la foto sia definita o instagrammabile, il vino per essere apprezzato va bevuto. Conosco questa difficoltà di prima mano, come scrittore che si occupa di vino la af­fronto quotidianamente. Ra­ra­mente si riesce a individuare un comunicatore enologico in grado di pro­durre testi davvero coinvolgenti: non è per niente banale tradurre in parole le sensazioni complesse che arrivano dal bicchiere, dagli aromi e dal sapore».

Qual è il segreto per riuscire a farlo in maniera efficace?
«L’impegno delle persone e la loro convinzione rispetto a quello che stanno facendo. An­­ge­lo Gaja, ad esempio, è un ottimo comunicatore proprio grazie alla sua convinzione. Gaja ha usato il suo entusiasmo nei confronti della vita per convogliarlo nei suoi prodotti. Ed è stato un enorme successo. L’autorità e l’integrità personale sono la chiave dell’efficacia».

Serve altro?
«Le storie. Ovvero ogni dettaglio che possa portare alla vita l’unicità. Nei miei lavori di ricerca ho esaminato centinaia di siti Internet di produttori e ho notato che sono quasi identici tra loro. Si parte sempre dal racconto della vita dei nonni vignaioli che vendevano le loro uve per arrivare al mo­mento del primo vino prodotto con il nome di famiglia. È certamente la loro storia autentica; per questo, vale la pena che sia raccontata. Ma allo stesso tempo servono più dettagli genuinamente personali perché la curiosità del consumatore si possa risvegliare. Suggerirei, quindi, meno testo e un messaggio più differenziato».

Allargando un po’ l’orizzonte, come viene percepita l’Italia dalla Gran Bretagna?
«Gode di un’ottima reputazione, dalla tv ammiriamo panorami soleggiati, città storiche e ottimo cibo, sembra davvero un posto fantastico per passare le vacanze. Sui vini italiani invece c’è ancora da fare, alcuni li associano a vecchi Chianti di dubbia qualità».

C’è qualche altro stereotipo… duro a morire?
«La burocrazia impenetrabile e la vostra ultra emotività. Pensiamo che talvolta siate un po’ “drama queen”, ovvero drammatici senza motivo».

Un vino piemontese fino ad ora sottovalutato?
«Il Grignolino, sicuramente».

La sua frase preferita in italiano?
«Chi beve vino campa cent’anni! (ride, nda)».