Lady Gaga, le paure e i sogni ritrovati in un film su Gucci

L’ultima fatica cinematografica di Ridley Scott regala una parte ambigua e difficile alla star di origini italiane che non finisce mai di stupire pubblico e critica

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Si fa fatica a riconoscere Lady Gaga dietro alla maschera di Patrizia Reggiani, l’ex “Lady Gucci” che fu in­carcerata (oggi è libera) per essere stata la mandante del­l’o­micidio dell’ex marito Mau­­rizio, erede della famosa maison di moda, per mano di un sicario, nel 1995.

Perché lei, la cantante e ora anche attrice americana, è fat­ta così. Vive ogni attimo con partecipazione assoluta. E se per condividere i pensieri e le emozioni di un personaggio da interpretare si deve un po’ soffrire, meglio ancora. O forse dipende an­che dal fatto che, da sempre, è abituata ad avere non uno, ma mille volti. O facce che sorprendono, come la sua “Poker Face”.

Stefani Joanne Angelina Ger­manotta è nata nel 1986 a New York da un imprenditore statunitense di provenienza siciliana e un’imprenditrice di origine franco-canadese. A tredici anni ha già scelto di essere artista, prima dei vent’anni ha lasciato casa per avviarsi alla carriera da solista. E quando la prestigiosa etichetta musicale Def Jam Recordings, dopo averla scritturata, la lascia da parte, cede alla depressione e alle droghe e cerca nuove strade nel burlesque. Nel 2008, dopo aver scritto testi per band e cantanti di successo, si trasferisce a Los Angeles e trova il successo personale con il singolo “Just Dance” e, più ancora, con “Poker Face” con quasi dieci milioni di copie vendute. È il momento dell’ascesa al top, compresa l’indimenticabile “Paparazzi”. Seguirà “Bad Romance” che vince due Grammy. Di successo in successo, debutta infine nel cinema nel 2013, quando Robert Rodriguez la chiama per una parte in “Machete Kills” e anche per “Sin City-Una donna per cui uccidere”, prima di “A star is born” di Bradley Cooper. Fino all’opera di Ridley Scott.

Mille facce. Perché nella carriera di questa eclettica signora della musica, e non solo, c’è tanto spazio anche per l’attivismo. Quello politico, pri­ma di tutto, perché Lady Gaga non si è mai nascosta e ha sostenuto apertamente i De­mocratici, condividendo le posizioni di Barack Obama e poi di Joe Biden.
Allo stesso modo, è considerata ormai una delle maggiori icone gay della storia, sostenitrice della comunità Lgbtqia e in prima fila in diversi “gay pride”. In concerto a Mosca, ha sfidato apertamente il governo russo nel 2012, tenendo dal palco un discorso su tolleranza e libertà.

Ultimo ma non ultimo, l’attivismo etico. Con sua madre Cynthia ha anche fondato la Born This Way Foundation, organizzazione schierata per il sostegno delle giovani vittime di bullismo e discriminazioni. E poi, naturalmente, c’è la sua passione per la moda, che ha anche un nome: Haus of Gaga, ovvero la squadra creativa che ha realizzato per lei i vestiti di scena, le scenografie dei palchi, i suoi make up. Tutto questo è diventato una specie di grande, itinerante e mutevole in­stallazione artistica. Un brand che è un tutt’uno con la sua musa ispiratrice e al tempo stesso prima fruitrice. Insomma, un evento nell’evento, una collezione che si nutre delle sue stesse creazioni, a partire ovviamente dai vestiti.

Ecco che il filo conduttore con il film “House of Gucci” si rivela in tutta la sua ineluttabile coincidenza: Lady Gaga era l’interprete giusta per una storia tanto complessa e ambigua.

Lei stessa, che quando aveva appena 19 anni subì violenza da un produttore musicale, ha spiegato come ha fatto a entrare nella parte di Patrizia Reggiani, detta la “Vedova Ne­ra”: «Sono arrivata a morire di fame per riuscire a capire questa donna, fumando sigarette una dopo l’altra, scrivendo migliaia di appunti. C’era quella scena in cui al mio personaggio vengono consegnati i documenti del divorzio nella scuola della figlia. Maurizio Gucci, il ma­rito, li invia tramite l’avvocato di famiglia. Quindi vengo mollata davanti alla scuola di mia figlia. Ricordo di aver detto: “Ti urlerò contro in nome di ogni donna sulla Terra, per ogni donna che è stata ferita così”. Con la mente sono tornata al luogo in cui sono stata aggredita veramente nella mia vita. E, dopo quella scena, mi sentivo un disastro, mi ha buttato davvero giù».