«Recitare? Per me un piacere assoluto»

L’attore braidese (ma con una parte di cuore a Monticello d’Alba) Paolo Giangrasso parla della sua professione e del futuro del settore

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«Sono un uomo che nella vita ha a­vuto la fortuna di fare per lavoro una cosa che per tanti è una passione, senza perdere l’entusiasmo del non professionista, in un campo molto affascinante e al tempo stesso difficile. E poi sono un marito e un padre». Così si “au­todefinisce” Paolo Giangras­so, attore braidese dalle radici monticellesi, il quale con IDEA ha parlato della sua professione e non solo.

Quando ha capito che questa era la sua strada professionale?
«Me l’hanno fatto capire. Dopo il laboratorio teatrale al liceo Gio­litti-Gandino di Bra, dove ho avuto la fortuna di incontrare Maura Forneris e lo staff del compianto Massimo Scaglione, mi sono trovato per casualità ad accompagnare dei ragazzi a fare il provino per il Teatro Stabile di Torino. L’incontro cruciale della mia vita è stato con il maestro Mauro Avo­gadro, insegnante e direttore della scuola dello Stabile, nel 2000 quando avevo appena finito la maturità. Fu lui a suggerirmi di prendere parte al provino. Avevo pagato la prima parte di tasse universitarie per Giurisprudenza, ma non me la sono sentita di rifiutare quella proposta. Sono stato selezionato e da lì è iniziato un percorso che si è rivelato tosto. Le scuole di recitazione sono ambienti particolari, non dissimili dalle accademie militari. Il rapporto con il corpo insegnanti, i compagni e poi colleghi, si è fatto più disteso fino al raggiungimento del diploma».

Quale è stata la prima tappa importante della carriera?
«Il maestro Avogadro mi prese per fare una minuscola parte in “La donna nel mare”, con
Eli­sa­betta Pozzi: fu il mio primo tour lontano da casa, girando i teatri più importanti d’Italia. Ho capito che era quello che volevo fare, anche se non era un percorso privo di difficoltà. Come diciamo noi attori, “il nostro vero lavo­ro è cercarci il lavoro”. A 23 an­ni venni selezionato per la prima “fiction”, dedicata alle Cin­que giornate di Milano, con la regia di Carlo Liz­zani. Ero con Giancarlo Giannini e Fabrizio Gifuni, una super produzione targata Rai».

Il cammino com’è proseguito?
«Questo mestiere ha bisogno di pazienza, ostinazione e anche un briciolo di fortuna. Nel 2008 l’incontro con Loredana Scaramella, regista teatrale e “casting director” per importanti produzioni in Italia, una delle più strette collaboratrici di Gigi Proietti. Lei mi ha voluto al “Globe theatre” di Ro­ma. Una delle istituzioni dell’estate artistica romana, una stagione di sole produzioni shakespeariane. L’anno scorso ho festeggiato gli 11 anni di lavoro in quella real­tà. Sono grato, un teatro magico ed enorme. Un salto im­por­tan­te, uno dei grandi esami della mia vita. Mi ha fatto sentire forte».

Le tue soddisfazioni più grandi?
“Il Mercante di Venezia” con la regia di Loredana Scaramella e la collaborazione con il Teatro Pie­monte Europa, diretto dal grande Valter Malosti. Con lui, per 4 anni, abbiamo portato in giro per l’Italia “Il berretto a sonagli” di Pirandello e poi “Il Misantropo” di Molière. Mal­osti è un grande professionista che mi ha dato fiducia, recitando nei suoi spettacoli mi sento immerso in un’opera d’arte, sono puro ingegno scenico. Poi, la soddisfazione di aver partecipato a film e “fiction”. Posso citare quella su Pietro Men­nea dove interpretavo Gianni Minà, il film su Rocco Chinnici dove vestivo i panni del giudice Giovanni Falcone. Bel­lissimo, anche, l’interpretare il fratello di Alberto Sordi nella recente “fiction” del regista Luca Manfredi, andata in onda a mar­zo. Inoltre sono stato uno dei coproduttori del film “The Repairman”, con la casa di produzione di Monticello d’Alba Aidìa productions, una pellicola che è andata in giro in oltre 100 sale italiane, poi al Fe­stival di Torino e in giro per il mondo».

Come sono il teatro, il cinema e la tv, vissuti dall’interno?
«Sono importanti i collaboratori, è importante il regista che conta su di te, essere dentro a un progetto dove tutti remano nella stessa direzione. In teatro provi uno spettacolo per più di un me­se, sperando di portarlo in giro per qualche anno. Il cinema e la tv hanno delle altre specificità, sono una macchina imponente. Per mezzo minuto di inquadratura, magari devi lavorare mezza giornata, con ritmi forsennati. In quei momenti dove il tempo è fondamentale, riuscire a dimostrare di essere sul pezzo, genera un credito che porterai sempre nel tuo bagaglio professionale».

Il mondo dello spettacolo come riparte da questa emergenza sanitaria?
«Con le ossa rotte ed estrema incertezza. Non si conoscono le rea­li tempistiche della ripresa. Auspico che si trovi un modo, in totale sicurezza, per far riaprire teatri e cinema il prima possibile. Sono qui che prego perché la stagione estiva possa essere salvata, in qualche modo. Ho tanta voglia di tornare a lavorare. Siamo oltre 150 mila professionisti in Italia, senza contare l’indotto. Spesso veniamo considerati come l’ultima ruota del carro, pur mantenendo viva la cultura del nostro Paese. Recitare è un piacere straordinario. Siamo i numi tutelari di un patrimonio. Io spero che il Governo non si dimentichi di noi. A livello sindacale si stanno muovendo tante cose. Io sono un naturale ottimista, però la situazione è estremamente delicata».

Prossimi obiettivi e progetti?
«Avevo due spettacoli che sarebbero dovuti partire. Adesso sarei dovuto essere in prova con il Teatro Stabile del Veneto e ci sarebbe stata la ripresa del “Glo­be” di Roma. Spero che il progetto che doveva partire ex novo venga confermato nella prossima stagione, cioè che sia un posticipo e non una cancellazione. Non sto nella pelle, penso a provini per il cinema e per la tv, sperando di essere selezionato. Adesso i provini sono fatti da casa: ci si filma e si invia la scena a chi di dovere. Io dico: “forza scienza, segna per noi!”. Spero che la nostra comunità scientifica sappia darci delle risposte e che riesca a fornirci un vaccino per questo virus, il prima possibile. Poi, per quanto lenta e difficile, che cominci la risalita. Con la speranza che possa portare a un’improvvisa fame di vita e di vitalità».