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Mons. Cesare Nosiglia: «Celebriamo la festa dell’incontro con Cristo Risorto»

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Nell’episodio del Vangelo che conoscete bene, due discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35)
avevano perso la speranza in Cristo e camminavano tristi e soli dopo la morte del Signore in croce. Erano delusi e amareggiati, perché tutto sembrava finito per sempre.
Il Maestro era morto, non si era difeso e non aveva usato la sua potenza divina che faceva i miracoli, guariva gli ammalati, risuscitava i morti, moltiplicava il pane per gli affamati, ridava la vista ai ciechi, predicava l’amore e la pace per tutti.
Gesù in persona si avvicinò loro e si coinvolse nella loro ricerca, si fece carico dei loro dubbi
di fede e li invitò a conoscere bene e accogliere le Sacre Scritture che parlavano della sua
morte e risurrezione, fino a rivelarsi amico e Signore nello spezzare il pane. Allora i due
discepoli aprirono gli occhi, lo riconobbero e tornarono di corsa a Gerusalemme, per
testimoniare la loro esperienza, diventando annunciatori della Pasqua per tutta la comunità. Mi chiedo e vi chiedo: perché questi due amici di Gesù, che lo avevano conosciuto e
amato durante tre anni del suo ministero, non credono più in Lui e hanno gli occhi e il cuore
chiusi alla sua presenza, non lo riconoscono, pur avendolo vicino e viandante con loro
sulla strada? Più si allontanano da Gerusalemme e dalla comunità dei Dodici e più cresce la loro incredulità, la delusione, lo scoraggiamento… «Speravamo», dicono «che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele».
Quando tornano indietro dopo l’incontro con Gesù, trovano la comunità riunita e accolgono l’annuncio dei Dodici: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Essi stessi
proclamano il vangelo della speranza cristiana: «Lo abbiamo visto e riconosciuto nello spezzare del pane». La comunità sta dunque all’inizio del loro viaggio e sta alla fine, per dirci
che al di fuori della Chiesa non c’è la possibilità di incontrare il Signore e gioire insieme della sua divina presenza.
Senza Cristo, accolto nella sua Chiesa, non c’è speranza. Ci sono sì tante speranze umane e quotidiane, immediate e anche significative per questo o quell’aspetto della nostra vita, per questo o quel momento o esperienza che viviamo, ma non c’è la “grande e unica speranza” a cui anela il cuore di ognuno di noi. La grande speranza solo Cristo ce la può donare. Essa è frutto della fede in Lui e si sperimenta nella Chiesa. La grande speranza è quella che vince il peccato e la morte, che rendono infelici, tristi, insoddisfatti, privi di entusiasmo, incapaci di sognare cose impossibili e di attuarle senza timore. La grande speranza è la gioia
di gustare la vita in tutta la sua positività e bellezza e di trovare il suo senso nell’amore.

BaNNER
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