Favino perfetto Bettino Craxi in “Hammamet”

Nel film di Gianni Amelio spicca la sua straordinaria interpretazione, ma anche la vicenda umana narrata

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Pierfrancesco Favino è l’unico a uscire in­denne dalle polemiche di chi non di­ge­ri­sce la vicenda, più umana che po­litica e/o giudiziaria, narrata da Gianni Amelio in “Ham­ma­­met”, uscito nel ventesimo an­niversario della morte in esilio di Bettino Craxi.
Sia l’operazione che l’opera so­no state premiate al “box office”: sfiora i 4,5 milioni di euro l’incasso in appena due settimane di programmazione.
La notizia senza dubbio provoca alcuni forti mal di pancia.
L’attore romano cinquantenne, oltre a una trasformazione fi­sica impressionante, regala agli spettatori un’interpretazione che lascia esterrefatti per come egli ripropone la medesima mi­mica facciale e gestuale del “leader” socialista.
Anzi, tanto per chiarire come la pensa chi scrive, del­lo statista italiano.
La sceneggiatura voluta dal re­gista contiene “licenze” cu­rio­se, come l’aver deciso di
ri­bat­tezzare Anita la figlia Ste­fania, «per ricordare la passione di Cra­xi per Giuseppe
Ga­ri­baldi».
Anche dell’attore che interpreta il figlio Bobo stupisce la somiglianza con la persona reale, mentre lasciano un po’ a desiderare le figure tratteggiate del­la moglie (con alcune scene che fanno trasparire una cer­ta arroganza, o meglio un definitivo distacco sentimentale di Bet­ti­no) e dell’amante (la quale in ef­fetti ci fu, se ne conoscono bene nome e imprese).
Qui a fianco scriviamo di chi in­dossa i panni del figlio (inventato e alquanto fuori registro, ol­tre che assai poco credibile) del segretario am­mini­strativo del Psi il cui nome, invece,
ri­con­duce dritti dritti a un politico in carne e ossa che agì davvero a fianco del “leader”.
Pur con queste e altre manchevolezze, il film è di quelli che impressionano e non si scordano appena usciti dal cinema.
Uno dei motivi è già stato accennato: la bravura da premio “O­scar” di Favino, riconosciuta an­che da quanti hanno sparato a zero su “Hammamet”, bollandolo come squallido e falsario tentativo mediatico volto a ria­bilitare un delinquente.
Su questo le opinioni sono diametralmente opposte, anche se occorre segnalare come oggi ab­biano cambiato drasticamente idea molti di coloro i quali esaltarono, gaudenti, il lancio di monetine davanti all’hotel “Ra­phael” di Roma, il punto più basso raggiunto sotto “Mani
pu­lite” dal linciaggio morale sobillato dai mass media.
C’è chi si inalbera quando qualcuno afferma che Craxi fu una delle principali vittime, oltre ai numerosi imputati che si suicidarono, di un vero e proprio colpo di Stato che spazzò via un’intera (beh, tutta tutta no…) classe politica che poteva anche non essere, nel complesso, e­sempio di specchiata virtù, ma era senza dubbio costituita da gi­ganti in confronto alla me­dia di quanti le hanno preso il po­­sto nelle stanze dei bottoni nei de­cenni successivi.
Però chi può smentire che in quel periodo l’Italia avesse scalzato anche il Re­gno Unito nei primi cinque posti delle economie mondiali?
E chi può negare (ma qualcuno ci prova) che il nostro Paese, an­che con la sua politica estera e con altre personalità di spicco come Giulio An­dreotti, avesse un peso immensamente maggiore di quel­­lo odierno nel pa­norama mon­diale?
In “Hammamet” Gianni A­me­lio delega al nipote di Bet­tino Craxi il compito di rievocare la faccenda di Si­gonella, quando l’allora Pre­si­dente del Con­si­glio dei ministri fece intervenire i Cara­bi­nieri che circondarono i “marines” americani, i quali, su ordine del Pre­sidente degli Stati Uniti, pretendevano di prendere in consegna, sul suolo italiano, il terrorista palestinese responsabile dell’abbordaggio al transatlantico “Achil­le Lauro” e dell’omicidio di un passeggero ebreo.
Fu senza ombra di dubbio l’ultimo atto di concreta sovranità del­­l’Italia, cose che oggi possiamo solo sognare e rimpiangere. E non è fantapolitica immaginare che quella decisione, che non si può non definire molto coraggiosa, possa essere stata alla radice del­la caduta in disgrazia di Bet­tino Craxi.
Su “Mani pulite” e su ciò che la scatenò converrebbe dav­vero fa­re opera di revisionismo.
Il film di Amelio non mira a ciò, ma lo spunto per desiderare di far­lo lo fornisce lo stesso.

Non tutto il “cast” brilla come il protagonista. E su “Vincenzo” c’è qualche riserva

Accanto alla straordinaria prova d’attore di Pierfrancesco Favino, riconosciuta da tutti, anche da coloro i quali hanno criticato con maggiore virulenza il presunto “revisionismo” della sce­­­­neggiatura e del messaggio di “Ham­mamet”, spicca l’insipienza di chi è stato chiamato a interpretare il figlio di “Vin­cenzo”: davvero inespressivo, è il minimo che si possa dire.
Il padre di questo personaggio è il compagno di partito di Craxi che al­l’inizio del film, durante il famoso congresso al­l’“An­saldo” di Milano (quello con le letteralmente faraoniche scenografie dell’architetto Filippo Pan­se­ca), cerca di met­terlo in guardia ri­spetto alle losche manovre giudiziarie all’orizzonte, ricevendo da lui una re­primenda quasi violenta.
Nella vicenda narrata in “Hammamet” tale “Vincenzo”, in­ter­pretato da un dolente, sempre bravo Giu­seppe Ce­derna, muore suicida e alla fine del film si lascia intravedere un possibile clamoroso colpo di scena, riguardo al­la dinamica del tragico decesso.
Il nome di battesimo scelto porta su­bito con il pensiero a Vincenzo Balza­mo, il quale
du­rante la segreteria di Cra­xi di­ventò segretario amministrativo na­zionale, nonché tesoriere, del Psi.
Balzamo (che fu anche ministro dei trasporti), in realtà, morì d’infarto, a so­li 63 anni, nel 1992, appena undici giorni dopo aver ricevuto un avviso di ga­ranzia dai giudici milanesi nel corso dell’inchiesta “Mani pulite”, nel quale gli si contestava di aver violato la leg­ge sul
fi­nanziamento pubblico dei partiti e di essere stato, per la carica che ricopriva all’interno del Partito socialista italiano, il principale destinatario delle tangenti ri­servate al Psi.