Mattarella a Cuneo, Borgo San Dalmazzo e Boves (VIDEO e FOTO GALLERY)

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Ecco il video del Presidente Mattarella a Cuneo al suo arrivo al monumento della Resistenza al Parco della Resistenza dove ha deposto una corona d’alloro.

È stato ricevuto dalla Sindaca di Cuneo Patrizia Manassero, quindi si è trasferito in auto alla Museo Casa Galimberti, per una visita in forma privata al luogo in cui visse l’eroe cuneese. Cristina Giordano, coordinatrice delle attività del Museo, ha illustrato e presentato al Presidente Casa Galimberti.

Al Toselli sono interventi il Presidente della Provincia Luca Robaldo, il Presidente della Regione Alberto Cirio, la sindaca di Cuneo, Patrizia Manassero e il Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza Sergio Soave.

Ha concluso le celebrazioni l’applaudito discorso del Presidente Mattarella.

Patrizia Manassero: «Signor Presidente, a nome mio, dell’Amministrazione Comunale e dei cittadini, desidero rivolgerLe un caloroso benvenuto a Cuneo: insieme con i sindaci di Borgo San Dalmazzo e Boves siamo profondamente onorati di averLa ospite oggi nel nostro territorio in una giornata così importante. Buongiorno a tutte e tutti voi presenti, alle autorità civili, militari e religiose, alle associazioni combattentistiche e partigiane. Un saluto ai colleghi sindaci della provincia, dai comuni più grandi a quelli più piccoli, dai più lontani ai più vicini. Cuneo è una delle 50 città italiane insignite della Medaglia d’Oro al Valor Militare per l’ingente contributo reso, con la collaborazione degli Alleati, per la liberazione del Paese dall’oppressione nazifascista. Nel Cuneese, migliaia di donne e uomini combatterono guidati dalle parole dell’eroe nazionale Duccio Galimberti, che il 26 luglio di 80 anni fa tenne l’audace discorso dal balcone della sua casa nella piazza oggi a lui dedicata. Galimberti ebbe la straordinaria capacità di organizzare la Resistenza e al contempo pensare al dopoguerra, prospettando già allora l’idea di un’Europa unita, democratica e di pace. Cuneo pagò cara la lotta al nazifascismo, con tanti sanguinosi eventi che causarono 2000 caduti, 1000 assassinati, 2200 invalidi e 1400 deportati, segnando indelebilmente la storia della città. Il 25 aprile per noi non è quindi una semplice festività in cui gli adulti non lavorano e i giovani non vanno a scuola. Noi cuneesi possiamo dire di avere la Resistenza nel sangue: i genitori (tra cui il mio) o i nonni di tanti di noi, furono infatti giovani partigiani e staffette, e tanti di noi portano oggi i loro nomi e cognomi. Riviviamo poi la Resistenza tutti i giorni in città: ai combattenti per la libertà abbiamo intitolato nel corso degli anni il 10% delle vie e affisso oltre 25 lapidi commemorative, tra cui quella riportante il noto componimento di Piero Calamandrei, scritto in segno di imperitura protesta per la scarcerazione del criminale nazista Kesserling. Come ha potuto notare Lei stesso poco fa, sono state realizzate inoltre testimonianze imponenti come il Monumento della Resistenza e il Museo Casa Galimberti, che ci permettono di fare Memoria sull’orrore della guerra e sull’importanza della pace. Valori, questi, che i nostri insegnanti tramandano alle nuove generazioni tutto l’anno, con visite e viaggi della memoria, e che manteniamo vivi in eventi pubblici, come il progetto Resistenze e la tradizionale fiaccolata del 24 aprile. La Storia ci insegna a non abbassare mai la guardia: se oggi Cuneo è fiera e non ha paura a dire di essere antifascista, non dobbiamo mai dimenticare che il fascismo cominciò dalle azioni di pochi nel silenzio di molti. Perciò non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle nuove Resistenze di oggi, che hanno il volto delle donne iraniane e afghane che sfidano le autorità dei loro Paesi per poter vivere libere la loro vita; dei bambini, donne e uomini che nel Mediterraneo subiscono soprusi, sono privati di diritti e dignità e molte volte della vita; del “coraggioso popolo ucraino” che sta combattendo una feroce guerra per difendere la propria terra. Giuseppina Parola, una delle tante donne cuneesi operative durante la Resistenza nel servizio di spionaggio, disse: “Le guerre non devono esistere, siamo tutti uguali in questa terra benedetta. La guerra è un immenso crimine, dobbiamo smettere di ucciderci”. Quelle parole restano vere: a noi il dovere di far crescere un’Italia che sia luogo di libertà, giustizia e pace. Quindi grazie signor Presidente per la Sua presenza oggi, che rende ancora più solenne e attuale questa 78a Festa della Liberazione. Viva la Resistenza, viva la Repubblica, viva l’Italia!»

Luca Robaldo:«Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente della Regione, Autorità tutte, Colleghi Amministratori, Gentili Ospiti, è con gioia e riconoscenza che porgo a tutti Voi il saluto della Provincia di Cuneo, rappresentata oggi insieme a me anche dai consiglieri provinciali. La presenza del Signor Presidente della Repubblica, Onorevole Sergio Mattarella, proprio in occasione delle celebrazioni della Festa della Liberazione, è motivo di orgoglio per un territorio provinciale insignito nel 2004 della Medaglia d’Oro al Valor civile. Il 25 aprile è una data simbolo, storicamente e socialmente riconosciuta come fine della Seconda Guerra Mondiale. Indica la liberazione dal giogo della dittatura nazifascista conquistata città dopo città, casa per casa, metro per metro, grazie al sacrificio degli eserciti Alleati e all’incredibile contributo della lotta partigiana, definita da alcuni ufficiali statunitensi “l’ultimo atto di dignità di un popolo ferito”. All’indomani dell’8 settembre 1943 molti cittadini italiani e stranieri si sono trovati uniti di fronte a una decisione coraggiosa e affatto scontata: hanno scelto consapevolmente di opporsi con tutti i loro mezzi all’odioso regime che per vent’anni li aveva privati della libertà e che da lì a poco, con l’occupazione tedesca, sarebbe diventato ancora più cruento. Proprio per questo, per l’esempio di quegli uomini e di quelle donne e per l’incredibile laboratorio di democrazia che sono state le formazioni partigiane, la memoria della Resistenza dovrebbe assurgere al ruolo di faro guida nella vita civile e politica del Paese. Ringrazio per questo, a nome di tutti i Cuneesi, i colleghi sindaci Patrizia Manassero, Roberta Robbione e Maurizio Paoletti per aver invitato il Signor Presidente della Repubblica. Essi rappresentano, infatti, tre delle città dove la furia nazista si è abbattuta con maggior veemenza e ferocia e le cui ferite ancora oggi pulsano come un corpo vivo. Cuneo, città natale dell’avvocato Tancredi “Duccio” Galimberti a cui è intitolata la piazza situata a pochi metri dal luogo in cui ci troviamo oggi, padre fondatore, insieme a Dante Livio Bianco, della resistenza cuneese; Boves, teatro del primo eccidio italiano avvenuto il 19 settembre 1943 su ordine del comandante tedesco Joachim Peiper, durante il quale vennero uccisi 23 civili, tra i quali il parroco don Giuseppe Bernardi e il vice parroco don Mario Ghibaudo proclamati beati pochi mesi fa, e incendiate centinaia di abitazioni; e infine Borgo San Dalmazzo, dal cui campo di concentramento partirono oltre 300 ebrei destinati ad Auschwitz. Accanto alla sede del campo ed alla stazione ferroviaria è stato realizzato Memo 4345, percorso espositivo multimediale che, invitando a riflettere sulle radici delle persecuzioni e della xenofobia, si pone come agente del cambiamento nella percezione della coscienza critica collettiva. Basterebbe questo breve riassunto per capire quale oscurità, quale notte possa inghiottire intere comunità, per dirla con le parole del nostro concittadino Alberto Cavaglion. Ma queste tre città, e posso affermare con orgoglio l’intera provincia di Cuneo, hanno saputo illuminare la loro notte più lunga con barlumi di coraggio che si sono trasformati in speranza, in lotta, in fame di vita anche laddove aleggiava lo spettro della morte. Un ricordo oggi lo dobbiamo alle oltre dieci cittadine della Granda decorate con medaglie al Valor Civile o Militare, in particolare a Boves che è tra le pochissime d’Italia a potersi gloriare di entrambe le Medaglie d’oro.Permettetemi, infine, di citare soltanto una figura e una località. La figura è quella del tenente degli Alpini Enrico Martini (Mauri), originario di Mondovì, organizzatore delle Brigate Autonome nel Cuneese, Langhe e Monferrato e decorato Medaglia d’Oro al Valor Militare per il suo importante contributo alla guerra di Liberazione in Piemonte. La località è Paraloup, frazione del Comune di Rittana, il cui nome in piemontese significa “al riparo dai lupi” e dove salirono le prime formazioni di Giustizia e Libertà. Ripensando con emozione a quei ragazzi che ottant’anni fa scelsero di “salire in montagna” e a tutti quelli che come loro, nelle città e nelle fabbriche, scelsero la strada della difesa della libertà, mi auguro, da cittadino ancora prima che da rappresentante di un’istituzione, che la chiamata a resistere ci trovi sempre pronti con le armi indefesse dell’intelletto e della cultura, affinché la democrazia che ci hanno regalato i nostri nonni rimanga sempre al riparo dai lupi».

Alberto Cirio: «Benvenuto in Piemonte, Presidente. Anzi, bentornato: per Lei questo è un ritorno, che ci riempie di gioia e di orgoglio. Lei per il Piemonte c’è sempre stato. La Sua è stata una presenza costante, nei momenti più significativi per questa terra. Ricordo le sue tante visite in Piemonte, che ha dato tanto all’Italia e a cui Lei riserva da sempre un affetto di cui andiamo orgogliosi. E ricambiamo con entusiasmo e riconoscenza. Ricordo la Sua visita al Sermig di Torino, cuore pulsante della storia e della tradizione sociale di una città, prima capitale d’Italia, dove sono nate alcune delle istituzioni più importanti di questo Paese: la Corte dei Conti, i Carabinieri e la Guardia di Finanza. E, proprio in questa provincia, ad Alba, lo scorso autunno, Lei è venuto per il bicentenario della nascita di Michele Coppino e il centenario della nascita di Beppe Fenoglio, Erano giorni di ripartenza, finalmente fuori dal periodo della pandemia; era un momento di festa, e lo è stato ancora di più perché Lei era con noi.  Oggi presidente Lei torna qui, in Piemonte, a Cuneo, a onorarci della Sua presenza in una data che ancora una volta non è casuale.
E’ particolarmente significativo infatti che Lei sia qui oggi, per celebrare il 25 aprile, che è la festa di tutti gli italiani. E che per queste terre ha un significato se possibile ancora più profondo. Queste colline, queste montagne, sono geneticamente antifasciste. Il sangue dei nostri nonni e bisnonni, che hanno combattuto il nazifascismo, fa parte del corpo e del Dna di noi tutti. In questi paesi, i partigiani hanno costruito, pagando sulla propria pelle, la libertà del nostro Paese e la ricchezza di cui godiamo oggi. Quella libertà e quella ricchezza che non devono mai essere date per scontate.  Ce l’ha insegnato la pandemia: la libertà è una condizione che si conquista e che va difesa.
Noi qui lo sappiamo bene: nei nostri paesi, le lapidi che ricordano i partigiani e chi ha lottato per la Liberazione hanno sempre un fiore fresco. E’ la testimonianza che il tributo dato dalle passate generazioni alla nostra libertà è un tributo che non si ferma, ma che dura nel tempo. Ce lo insegna, purtroppo, il conflitto che da oltre un anno sconvolge l’Europa. La guerra, che questo continente pensava di aver archiviato tra gli orrori di un passato destinato a non tornare, è invece qui, a poche migliaia di chilometri da noi. E, esprimendo anche in questa giornata la nostra vicinanza alle popolazioni vittime del conflitto, abbiamo il dovere di ricordare che la libertà e la democrazia sono una conquista da proteggere e difendere, anche in tempo di pace. Con questo spirito, Presidente, Le diamo il benvenuto e La ringraziamo per aver scelto di celebrare qui il 25 aprile. Perché anche attraverso la Sua presenza i valori, che questa terra ha coltivato pagando anche un prezzo molto alto, possano continuare a germogliare nei nostri figli, nelle giovani generazioni a cui va l’onere di continuare a combattere per la libertà, portando ogni giorno, simbolicamente, i fiori freschi sulle lapidi dei nostri avi. Per non dimenticare, perché non si può guardare al futuro senza essere ben consci del passato. E perché la libertà che i nostri nonni e bisnonni hanno conquistato per noi è un bene prezioso che dobbiamo essere capaci di consegnare ai piemontesi e agli italiani di domani. Buon 25 aprile, Presidente. E buon 25 aprile a noi tutti».

Sergio Soave: «Signor presidente della Repubblica, signore e signori,
Come mi è stato richiesto, mi limiterò in questa breve introduzione a sottolineare alcuni motivi peculiari e in parte unici della storia della resistenza cuneese.
Intanto, immediatamente occupata da truppe naziste, arrivate a Cuneo l’11 settembre ’43, la provincia fu in grado di offrire fin da subito una prospettiva di salvezza che non fosse l’immediata cattura a quei militari delle caserme, nonché agli sbandati della 4^ Armata in fuga apocalittica dalla Francia impossibilitati a raggiungere le loro troppo lontane famiglie. E ciò avvenne qua e là per opera di comandanti ispirati, ma, a Cuneo, grazie a un lavoro preparatorio che Duccio Galimberti aveva perseguito fin dal 25 luglio, in coerenza con la percezione anticipata degli eventi che aveva subito espresso. A differenza di chi, sui giornali dell’epoca, individuava soluzioni consolatorie Duccio era stato chiaro. Salito sul balcone del suo studio affacciato alla piazza che ora porta il suo nome, di fronte a una folla che sperava di sentirsi dire che, con la caduta di Mussolini, sarebbe finita la guerra, il giovane avvocato ammonì perentoriamente – tra il mormorio stupito e la perplessita degli astanti – di non farsi illusioni: la guerra sarebbe finita solo dopo la cacciata dal Paese dell’ultimo dei nazisti e dei fascisti, ciò che indicava implicitamente il compito inevitabile e assai gravoso a cui ciascuno avrebbe dovuto predisporsi in quella che si prefigurava come una guerra di liberazione, ma che inevitabilmente avvrebbe assunto i tratti di una guerra civile. Per parte sua, anzi, senza perdere tempo e con il prezioso aiuto di Dante Livio Bianco pochi amici, aveva già cercato di preparare una risposta degna e fu così in grado di raccogliere i primi nuclei di resistenza armata a Madonna del Colletto, nelle vallate a ovest del capoluogo a pochi giorni dall’armistizio. Non era solo, perchè contemporaneamente e con eguale tempestività, a Barge si radunò con Pompeo Colaianni un primo drappello partigiano, mentre a est della città di Cuneo, sui colli di Boves, lo stesso avvenne per impulso di un giovane e carismatico ufficiale, Ignazio Vian. E fu qui che prese corpo un tragico primato italiano perché proprio a Boves avvenne la prima strage nazista di una popolazione civile che si ricordi (a Meina, sul Lago maggiore, analoga strage fu incentrata sulla caccia all’ebreo),
I fatti li conosciamo: la cattura di due tedeschi da parte della piccola banda delle colline bovesane, la trattativa con il maggiore Joachim Paiper che vuole i due prigionieri in cambio della salvezza del paese, i prigionieri restituiti, il tradimento della parola data da parte nazista e l’incendio della città (350 case bruciate e 25 civili uccisi compreso parroco e vice parroco). La lezione di quella strage non poteva essere più chiara: al di là della barbarie e dell’abisso morale brutalmente ostentato, i tedeschi vollero comunicare in un solo giorno a tutta l’Italia occupata la loro legge: colpire la popolazione civile per far capire che non era tollerabile alcun sostegno a chi si opponeva ai loro comandi. Ciò che si ripetè tristemente, nei soli 4 mesi successivi, con le analoghe stragi di Bagnolo, Ceretto, Dronero, Peveragno e di nuovo, con più del doppio di morti, a Boves, città davvero prima martire della Resistenza italiana. Altri elementi di specificità virtuosa sono riscontrabili nello sviluppo successivo della Resistenza: intanto Gl, Garibaldini e Autonomi garantirono progressivamente una copertura territoriale diffusa, ciò che non era né facile, né scontato in una provincia più estesa della regione Liguria e che contava 252 comuni (dei quali solo 6 sopra i 10.000 abitanti) e un migliaio di frazioni. Forte di questa consistenza e grazie a un Galimberti ormai diventato membro autorevole del CMRP, si riuscì a vincere la diffidenza del maquis francese, siglando gli accordi di Barcellonette e Saretto, alla base dei quali è posta la necessità del superamento dei nazionalismi per addivenire a un ordine europeo condiviso. Piccolo capolavoro di “politica estera” e altro primato di cui non troviamo analogo esempio.
Sul piano dei rapporti interni, riconosciuto il merito di GL e Garibaldini, è infine da sottolineare la capacità di penetrazione delle formazioni che si definivano autonome, sia che fossero tendenzialmente badogliane e monarchiche (le divisioni del maggiore Martini Mauri), sia che propendessero per una scelta repubblicana e di Rinnovamento (quelle di Piero Cosa e di Dino Giacosa che più di altri seppero inserire in ruoli chiave anche molte
e straordinarie figure femminili). Tali formazioni si diffusero, in un territorio “aperto” e che non permetteva vie naturali di fuga , tra Cuneo, il monregalese, Alba , Bra e propaggini astigiane, fino a costituire un blocco che numericamente e politicamente (e questo è un ulteriore primato) non è dato rinvenire in nessuna altra parte del pur vasto fronte resistenziale italiano. Sul motivi della loro fortuna, e al di là del più disponibile sostegno alleato, ha una sua credibilità l’ipotesi che esse riflettessero meglio di quelle cosidette “politiche”, il comune sentire di una popolazione più incline a rimandare al dopo altra scelta che non fosse quella di liberarsi intanto da nazisti e fascisti e comunque a evitare soluzioni future giudicate troppo innovative o “rivoluzionarie”. Il chè si sarebbe poi meglio compreso con le prime elezioni del ’46, dove il voto per la monarchia fu ben superiore a quello della Repubblica (56% e altro, questa volta discusso, primato), mentre alle elezioni per la Costituente, i favori andarono a una DC che ottenne il 46% dei consensi, con i socialisti al 20%, un Partito dei contadini al 10%, un PCI sotto l’8%, e un PdA fermo al 3,73. Da allora, la provincia fu considerata “provincia bianca”. Al proposito, andrebbe notato che su quel risultato referendario un certo peso lo aveva avuto la scelta monarchica pubblicamente espressa dal cuneese Luigi Einaudi che, due anni dopo, sarebbe stato eletto Presidente della Repubblica. Paradossi della storia – si dirà – ma scelta rivelatasi saggia da parte di un ceto politico che, alla prima prova del nuovo istituto, previsto dalla Costituzione, pensò a una figura di riconciliazione e coesione nazionale. Balsamo per un Paese che doveva superare lacerazioni politiche profonde e ai primi passi della costruzione di una democrazia nella quale tutti, a poco a poco, potessero alfine riconoscersi! Mi permetta da ultimo di aggiungere, signor Presidente un dato che riguarda più da vicino: nelle file della Resistenza cuneese e piemontese, tra i 6 mila giovani provenienti dalle regioni del Sud, ben 2191 venivano dalla sua Sicilia e sono tre i siciliani che, restringendo lo spettro della ricerca alla nostra provincia, annoveriamo tra i più prestigiosi capi di brigate o divisioni importanti: Pompeo Colajanni (Barbato) nativo di Caltanisetta, figura centrale della Resistenza cuneese, Ufficiale di cavalleria a Pinerolo, che partito da Barge, ebbe affidato il comando della 1^ Divisione Garibaldi e poi la responsabilità della VIII zona partigiana piemontese. Luigi Scimè (Gigi), nato a Racalmuto, sottotenente di artiglieria inviato a Fossano il 6 settembre 1943. Dileguatosi il suo comandante, mandò in licenza i suoi soldati provvedendo poi a nasconderli nelle cascine della campagna cuneese, attorno a S. Albano. Fatta la scelta del partigianato nelle formazioni autonome di Rinnovamento della brigata Valle Pesio, dal gennaio ’45, gli sarà affidato il comando della V^ divisione autonoma “Alpi Mondovì. Liberatore della città, verrà insignito di medaglia d’argento al valor militare. Vincenzo Modica (Petralia), nato a Mazara del Vallo (e qui ci avviciniamo ai luoghi della sua giovinezza), braccio destro di Barbato e a sua volta Comandante di divisione, a cui verrà affidata la bandiera del CLN, alla testa del corteo che il 6 maggio 1945, sfilerà a Torino davanti alla popolazione e ai comandi alleati. Ai tre, molti altri sarebbero da aggiungere, ma proprio in omaggio a lei, signor Presidente, ne voglio ricordare uno in particolare (segnalatomi dal prof. Salzotti, decano del nostro Istituto storico della Resistenza Dante Livio Bianco). Si tratta di Gaspare Santoro, di Alcamo, allievo, negli anni ’30, di quel liceo privato “Giuseppe Ferro”, già frequentato da suo padre, anni prima. Tra quelle mura, il nome di Bernardo Mattarella, antifascista della prima ora, amico di Sturzo, presidente dell’Aci palermitana e membro, negli anni ’30, del Consiglio superiore di Gioventù cattolica, non poteva essergli sconosciuto, se non altro per quei bisbigli a bassa voce che gli giungevano da alcuni probi professori e maestri. Diventato ufficiale dei carabinieri, Santoro fu mandato in Grecia nel ’42 e qui, catturato dai tedeschi dopo l’8 settembre, rifiutò di rientrare al servizio della RSI, subendo la dura sorte che toccò a tutti gli internati militari italiani che solo in questi anni la critica storica ha preso a rivalutare come autentici, primissimi eroi di un antifascismo istintivo e che, infatti, i nazisti cercarono di fiaccare con un regime di detenzione particolarmente efferato. Nell’aprile del ’44, fingendo di cedere alle lusinghe del nuovo regime, Santoro rientrò in Italia e, assegnato alla tenenza dei carabinieri di Torino Borgo Dora, si diede alla macchia raggiungendo i partigiani della brigata “Val Grana”, dove subito si distinse, con il nuovo nome di Nick, tanto che a lui venne affidata, nel dicembre ’44, l’operazione “discesa in pianura” a Monchiero. Qui, nominato Capo della polizia divisionale della regione Pre- Langhe, coordinò nella primavera del ’45 coraggiose imprese, ma a un mese dalla Liberazione fu tradito da un ex partigiano che all’albergo del Vecchio commercio, reiterando il gesto di Giuda, lo indicò con un abbraccio ai fascisti che lo aggredirono con inusitata violenza. A nulla valse il ricovero all’Ospedale civile di Benevagenna dove trovò infine la morte.  Ma se è vero che nel passaggio finale si rimemora la vita in un attimo, quel liceo di Alcamo che lo accomuna a suo padre e alla sua famiglia, sarà certamente affiorato nel lampo del suo ultimo ricordo. Insomma, signor Presidente, grazie per la sua significativa presenza qui, in questo particolare 25 aprile. Essa alimenta di per sé quel fuoco che si evoca da noi nel popolare detto “Cuneo brucia ancora” e rafforzerà la volonta’ di tutti coloro che sentono il dovere di trasmettere alle giovani generazioni l’epopea e il senso di un tempo in cui donne e uomini si batterono a rischio della vita per darci quella libertà di cui talora, oggi, sembra che si dimentichi l’essenziale valore».

Nel pomeriggio il presidente Mattarella si sposterà a Borgo San Dalmazzo dove visiterà MEMO4345 e il Memoriale della Deportazione, sorto a fianco della stazione ferroviaria da cui furono deportati 357 ebrei (334 stranieri, 23 italiani) tra il settembre 1943 e il febbraio 1944. Borgo San Dalmazzo è, dal 2001, decorata di Medaglia d’Oro al Merito Civile.

Sarà poi la volta di Boves, dove ad accoglierlo ci sarà il primo cittadino Maurizio Paoletti.