«La vera sfida è tenere le aziende migliori ancora in Italia»

Silvia Sciorilli Borrelli: «In questa congiuntura è strategico»

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Le tensioni della guerra si traducono, tra le altre conseguenze negative, nelle tensioni economiche con cui ci stiamo confrontando in misura esponenziale da qualche mese a questa parte. Dove si arriverà? Ne abbiamo parlato con Silvia Sciorilli Borrelli, corrispondente italiana del Financial Times.

Quali soluzioni per costo energia e bollette?

«Naturalmente il tetto al prezzo del gas rimane la misura cardine, però fino ad ora anche se l’Italia lo ha chiesto a gran voce, è rimasto incompiuto. La scorsa settimana i ministri europei dell’energia hanno approvato misure emergenziali pensate per frenare l’aumento delle bollette a carico delle famiglie e anche per dare maggior coordinamento alle risposte degli stati membri. Sono previsti risparmi energetici obbligatori, un tetto massimo alle entrate di mercato in eccesso, agli extraguadagni anche con prelievo forzoso, i famosi extra profitti che ad esempio in Italia non hanno dato i risultati sperati sulla carta».

Ci sono altre opzioni?

«Diciamo che a parte altre misure finanziate con maggior debito, sussidi diretti a famiglie ed aziende ed eventualmente anche dei razionamenti per quello che riguarda gli utilizzi e i consumi non necessari, al momento si può far poco soprattutto se non arriva il tetto al prezzo del gas, nel senso che ci si aspetta continuità rispetto all’esecutivo Draghi. Si sa che al momento si sta negoziando all’interno della coalizione di destra sui ministri: sicuramente alcuni ministeri saranno “chiave” per capire quale sarà la rotta e quale il potere negoziale dell’Italia a livello europeo».

Si riferisce alla scelta del prossimo ministro dell’Eco­nomia?
«Sì, ma anche agli Esteri. Se lì ci saranno figure credibili e spendibili in Europa, interlocutori di un certo tipo, si può pensare che anche le richieste del governo italiano vengano tenute in considerazione. Se invece ci saranno degli strappi – ma io questo non lo credo – rispetto a figure che possono mettere in allarme sia Bruxelles che i mercati finanziari, magari sarà più difficile mettere in piedi politiche economiche e fiscali credibili e quindi avremo uno spazio di manovra più stretto».

Il ministro dell’Eco­nomia sarà ancora un tecnico?
«Secondo me sì, non sarà espressione di nessun partito. Sicuramente la legge di bilancio sarà il primo appuntamento fondamentale e anche magari la possibilità di scriverla a quattro mani con il governo uscente, quindi con il ministro Daniele Franco (sempre se non sarà anche ministro del governo Meloni). Sono tutte cose che, alla luce del momento particolarmente difficile della congiuntura economica, il prossimo ministro potrà e dovrà fare».

Quali sono le prospettive per l’Italia in questa “economia di guerra”?

«Non so se ancora la possiamo definire, per quello che riguarda l’Italia, una economia di guerra, ma è indubbio che la situazione è complessa. Questo governo, il primo puramente politico, con netta maggioranza politica, che abbiamo da molti anni a questa parte inizierà a governare nel momento più difficile dell’economia italiana. E non solo dell’economia italiana, comunque della storia più recente. Sicuramente dovrà fare scelte difficili e dolorose. Io penso che ad un certo punto, se continuano le strette sull’arrivo del gas russo e comunque se continuano a salire a dismisura i prezzi, allora ad un certo punto bisognerà valutare una qualche forma di razionamento».

Ma questo problema ricadrebbe pesantemente sulle aziende…
«Certo, c’è il problema delle aziende energivore, quelle che hanno produzioni che richiedono un utilizzo di grandi quantitativi di gas e di elettricità in modo perpetuo. Penso ad alcune produzioni in particolare, come può essere ad esempio per l’acciaio. Bisognerà quindi capire l’impatto dell’aumento delle bollette e in che misura potrà intervenire lo Stato, in che misurà potrà intervenire il governo per mitigare questo impatto, perché altrimenti è chiaro che vedremo alcune imprese chiudere e ci saranno alcuni settori in particolare che saranno messi più a dura prova di altri e potremo registrare anche una crisi occupazionale. Per esempio per tutte quelle aziende che hanno già attivato dei piani di cassaintegrazione a cui poi daranno esecuzione. Tutto questo se, con l’andare dell’inverno la situazione peggiora senza che ci siano interventi a livello europeo o nazionale per cercare di gestire quelli che in alcuni casi sono dei rincari delle bollette che da parte delle imprese non sono assolutamente affrontabili».

Quali sono gli altri rischi?

«Un rallentamento di tutta quella transizione verde di cui abbiamo parlato tanto in questi anni, a cui sono anche legati molti obiettivi del Pnrr».

Ad Alba, Giovanni Ferrero ha detto che l’azienda di famiglia non lascerà mai la città. Mercato globale e radici sul territorio: è un modello replicabile?

«Il vero problema è che in Italia, guardando a tutto il territorio, abbiamo visto anche grandi eccellenze, grandi industrie che sono state storicamente legate a vari territori, fare in seguito passi indietro rispetto a quei territori perché non è stato più conveniente stare in Italia, sia per il costo del lavoro, sia per la pressione fiscale e per tutto quello che sono burocrazia e difetti strutturali del paese. La verità è che, stando in un contesto europeo di mercato unico e comunque in un mondo globalizzato, diventa sempre più forte la tentazione per alcune aziende di delocalizzare dove la produzione costa meno. E comunque con l’avanzare della tecnologia ci saranno dei mestieri che andranno via via scomparendo e quindi penso sia abbastanza prevedibile che in futuro le dinamiche legate a determinati territori cambieranno. È chiaro che ci sono territori molto legati simbolicamente ad alcuni grandi nomi italiani, come può essere nel caso di Alba con la Ferrero, oppure in Veneto il caso di Luxottica. Ci sono alcune aziende che rimarranno storicamente le­ga­­te al territorio in cui sono cresciute e si sono espanse, però da un punto di vista più generico credo che in questa congiuntura la vera sfida sia quella di cercare di trattenere le aziende rendendo al tempo stesso l’economia italiana e l’ambiente in cui le imprese si muovono, realmente competitivi rispetto ad altri mercati di riferimento, soprattutto quelli europei».

CHI È
Nata a Roma nel 1985, figlia di Giulio Borelli storico volto del Tg1, è la prima giornalista italiana a ricoprire l’incarico di corrispondente – da Milano – del Financial Times. Attiva anche come scrittrice, il suo primo libro è “L’età del cambiamento”, uscito a giugno per Solferino

COSA HA FATTO

Ha lavorato per “Politico Europe” e per Cnbc a Londra, dove si è occupata di attualità economica e politica, incluso il referendum per la Brexit. È stata opinionista per la Cnn durante la presidenza Trump e ha partecipato a un podcast di “The Spectator” sull’impatto del Covid in Europa

COSA FA
Ha recentemente partecipato a Internazionale a Ferrara, una serie di incontri organizzati nella città emiliana dal periodico di approfondimento culturale con giornalisti di tutto il mondo su tematiche che mettono i giovani in primo piano. Silvia ha presentato il suo libro e parlato della sua attività oltre che dell’esperienza maturata tra Usa e Gran Bretagna