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I luoghi dell’anima di Gina Lagorio «Bra come felicità»

Silvia, una delle due figlie, traccia un ricordo della scrittrice e politica nel suo centenario

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«Mi piace quando mi sen­to chiamare “Madamìn” per le strade di Cherasco». Così Gina Lagorio, nata a Bra cento anni fa, commentò in una bella intervista registrata sulla piazza del Belvedere il suo rapporto con la Città delle Paci, paese in cui passava le estati da bambina, a casa dei nonni, diventato poi una sorta di buen retiro per la scrittrice che tra le vie cittadine ambientò il suo romanzo “Tra le mura stellate.” Seppur la sua vita si svolgesse per lo più altrove, il rapporto con Cherasco, Bra e le Langhe non si è mai allentato, tanto che spesso le atmosfere della provincia fanno capolino nelle sue opere. Nata Luigina Bernocco, Gina scelse come nome de plume il diminutivo del nome di battesimo e il cognome del primo marito, il partigiano Emilio Lagorio, sposato a Savona nel 1945 e prematuramente scomparso, da cui ebbe due figlie, Simonetta e Silvia. In Liguria e a Milano, dove nel 1982 sposò l’editore Livio Garzanti, Gina Lagorio trascorse gran parte della sua vita di intellettuale, autrice e curatrice presso la casa editoriale Garzanti. Silvia, una delle due figlie, ne traccia un ritratto personale.

Per il centenario della nascita nelle città del Cuneese che Gi­­na ha amato si susseguiranno eventi per ricordarla. Qual era il suo rapporto con i diversi luoghi in cui ha vissuto?

«Gina era una donna complessa che aveva dentro di sé più luoghi d’elezione ma ne identificherei tre in cui affondava le sue radici. Uno era sicuramente il Piemonte, uno la Liguria e uno Milano. Queste radici si sono intrecciate nella sua biografia in vario modo e hanno condizionato la sua scrittura tanto che le ritroviamo in molte delle sue pagine. A Bra associo l’idea di mia madre di felicità come dice il suo testo che si chiama proprio “Bra o della felicità”, in cui offre un ritratto molto vivo di se stessa da giovane. Felicità è una parola difficile perché importante, l’affiancarla ad un posto preciso dice quanto questo luogo le sia rimasto nel cuore».

Che cosa era invece per lei Cherasco?

«A Cherasco c’è una casa di famiglia a cui Gina era legatissima. Ha dedicato al paese molte delle sue pagine, io ho ricordi che risalgono alla mia prima infanzia ed è molto caro sia a me sia a tutta la mia famiglia. Le tre nipoti di Gina, le figlie mie e di mia sorella, sono molto legate alle Langhe».

Molti luoghi dell’anima quindi, ma Gina dove si sentiva davvero a casa?
«Gina ha abitato parecchi luoghi e aveva la capacità di rendere “casa” ogni posto che amava. Si sentiva a casa sua dove era nata, certamente, ma aveva messo radici profonde anche a Vari­gotti a cui ha dedicato pagine appassionate e importanti dedicate al tema del tempo e dell’eternità. Anche nella sua Milano, dove svolgeva una vita frenetica, si sentiva perfettamente al suo posto. Le anime di questi luoghi convivevano in maniera armonica dentro di lei».

Qual è il libro che le ricorda mag­giormente sua madre?

«Sono due i libri secondo me più rappresentativi della personalità di mia madre. Uno è senz’altro il volume pubblicato postumo, “Càpita”, scritto in condizioni di estrema difficoltà, durante la sua malattia. È un libro di grande potenza, con un ritmo completamente diverso dai precedenti, in grado di toccare corde diverse nel lettore. Seppur nella sofferenza del tema trattato, in alcune pagine riesce addirittura a fare ridere. Si tratta del suo personale resoconto dell’evento catastrofico ed è straordinariamente rappresentativo della personalità e della sua scrittura».

E il secondo?
«È un libro che parla molto di lei, come già denuncia il titolo, ed è “Inventario”, ovvero un’analisi lucida degli aspetti più importanti della sua vita raccontati attraverso l’elenco di quello che avrebbe salvato e portato via con lei».

In un’intervista Gina dice “Ascoltare significa aprire tut­te le porte”. Una metafora efficace che lascia immaginare una donna molto propensa all’ascolto del prossimo praticato senza giudizio. Era così?
«È una domanda non facile. Penso che chi scrive abbia prima di tutto la capacità di riuscire ad entrare nella vita degli altri e questo non può prescindere da un ascolto attento e da una certa curiosità per le vite e le esperienze altrui. Gina era una persona molto libera e in questo senso era assolutamente in grado di aprire le porte quando ascoltava qualcuno. Era una donna molto ospitale, profondamente anticonvenzionale ed era, sì, in grado di ascoltare con una libertà interna che ho riscontrato in poche persone».

In un’altra intervista Gina parla del suo rapporto con la spiritualità. “Non può non es­serci il confronto con il sacro. Ogni uomo si chiede: da dove vengo? E chi sono?”. “Il sa­cro non si può cancellare. In ogni angolo del pianeta quando qualcuno muore non spezza il rapporto con chi resta. Il rapporto tra morti e vivi unisce tutti gli uomini della terra, questo dimostra che c’è una sacralità universale da cui non possiamo prescindere”. Che rapporto aveva sua ma­dre con il sacro?
«Gina era un temperamento religioso quindi il suo rapporto con il sacro è stata una corda che suonava dentro di lei. Era stata colpita duramente dal punto di vista affettivo poiché mio padre è mancato quando aveva solo quarantacinque anni e questa assenza si è poi saputa trasformare in una presenza costante. Questo avvenimento drammatico ha indubbiamente segnato la sensibilità di mia madre e l’ha portata verso una maggiore attenzione alla sfera spirituale».

A suo padre Gina dedicò un li­bro.
«Sì, “Approssimato per difetto” che la Garzanti ripubblicherà proprio in occasione del centenario della nascita, in cui si potrà leggere anche un ricordo della scrittrice Edith Bruck, sua grande amica. Il libro è un romanzo scritto in prima persona che ha come tema centrale la morte del suo compagno di vita e nostro padre. È stato, tra l’altro, uno dei primi libri in cui si trattava apertamente l’argomento della malattia, della separazione e del dolore legato alla morte. Mentre ora è un tema piuttosto ricorrente, negli anni Settanta questo rappresentava una novità».

Passando alla vita più privata, in un’intervista Gina racconta della sua felicità nel vi­vere il suo ruolo di nonna.
«È stata una nonna molto orgogliosa delle sue tre nipoti femmine e certamente andando avanti negli anni ha potuto dedicare molto tempo a loro. La sua vita è stata in­tensamente dedicata al lavoro e alla scrittura. L’essere nonna è stata una festa dell’ultima parte della sua vita. Una festa vera».

BaNNER
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