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La forza di Bebe

Nuove protesi per nuove emozioni, una carezza su tutte: nell’ultimo post tutta l’energia positiva di Bebe Vio, un esempio di gioia di vivere che travolge le difficoltà

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«Evvaaai, mi sono arrivate le mani e i piedi nuovi». Bebe Vio svela le nuove protesi su Instagram, le mostra al mondo insieme a un sorriso contagioso, concentra in un esclamativo la sua energia, la capacità di affrontare la disabilità con leggerezza. Bebe accarezza, sfiora, stringe sempre meglio; Bebe corre e scala con nuova disinvoltura. «Tutte queste cose non avrei potuto farle senza l’incredibile evoluzione tecnologica degli ultimi anni. E chissà quanto ancora potrà migliorare la nostra vita in futuro grazie alla ricerca scientifica» aggiunge, corredando le parole con gli emoji di piccoli gesti che per lei sono conquiste: i nuovi modelli miglioreranno la qualità della vita e non solo le prestazioni sportive di una ragazza innamorata della scherma e pluricampionessa paralimpica, oro nel fioretto individuale a Rio e Tokyo oltreché bronzo e argento nel fioretto a squadre. Aveva cinque anni quando salì per la prima volta in pedana, ne aveva dodici quando lo fece con una protesi speciale: a undici era stata colpita da una meningite causa di un’infezione così grave da costringere all’amputazione degli arti. Oltre cento giorni di ricovero, la riabilitazione motoria, la paura negli occhi delle persone care e lei che invece, così piccola, trasmetteva già forza. Quella forza che l’ha portata oltre i limiti, che nutre la sua voglia di vita. Non s’è accontentata di tornare a camminare: è arrivata a lunghe ore di trekking e arrampicate. Non s’è accontentata di afferrare oggetti, con le mani di silicone: voleva mimare, digitare codici e numeri. Non è rimasta a guardare il mare, ha voluto fare le immersioni.
Bebe ha stupito il mondo. Dalle palestre venete – è nata a Venezia, ma cresciuta a Mogliano – ai teatri olimpici è diventata un esempio, e nel 2009 la famiglia ha fondato “Art4sport”, onlus di sostegno all’integrazione sociale tramite la pratica sportiva dei bambini che hanno subìto amputazioni. Tedoforo a Londra, portabandiera azzurra a Rio, modella per la fotografa Anne Geddes, conduttrice tv, rappresentante della delegazione italiana all’ultima cena di Stato di Obama alla Casa Bianca, doppiatrice di un cartoon, ispiratrice di una Barbie, ideatrice di “Giochi senza barriere”, autrice di due volumi: “Mi hanno regalato un sogno” e “Se sembra impossibile allora si può fare”. Guardando lei, tante persone con disabilità hanno ritrovato la speranza, la gioia di vivere, ne è consapevole e orgogliosa: «È bello – ha osservato – poter far vedere il futuro agli altri in momenti in cui a loro sembra che il futuro non ci sia più». Non è casuale scegliere il termine “persone con disabilità” anziché “disabili”, perché Bebe ci ha insegnato la differenza: «Nel primo caso si pone l’attenzione sulla persona a prescindere alla sua disabilità, nel secondo si identifica la persona con la sua disabilità». E le parole non sono un dettaglio, «bisogna usarle precise se vogliamo che la gente la smetta di trattare chi ha una disabilità fisica o mentale solo come un poveretto da compatire e non una persona con una vita da vivere». Le nuove protesi – presentate unitamente alla partnership con Ottobock, azienda leader nella tecnica ortopedica e della riabilitazione – sono una nuova frontiera superata e una gioia già condivisa: estesa a chi, come lei, potrà provare finalmente l’emozione di una carezza.

BaNNER
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