«Mi sono ripreso la pasticceria e punto ai turisti»

A 22 anni Carlo Comino aveva ricucito una trama di Mondovì (passando da Vanzetti), oggi guarda avanti

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La pasticceria Co­mi­no è sempre stata un punto di riferimento per Mondovì. Un locale storico e prestigioso, indissolubilmente intrecciato con le vicende della città e con alcune sue peculiarità che oggi, attraverso il turismo, si stanno facendo conoscere ben oltre i confini territoriali. Da quelle vetrine, se ci si accomoda ai tavoli, si osserva fuori la Mondovì di oggi, che evolve, corre, cambia. Mentre all’interno, se si attivano i sensi, si colgono le tante sfumature di un grande passato, di una tradizione che, trasformandosi, continua a brillare.
Della storia di ieri e di oggi abbiamo parlato con il titolare, Carlo Comino, un giovane che porta avanti l’attività e la sua storia famigliare.

Carlo, com’è iniziato l’infinito connubio tra l’attività di pa­sticceria e la famiglia Co­mino?

«La mia famiglia è legata a questa attività verosimilmente dalla seconda metà dell’800. La prima data certa alla quale risaliamo è il 1892, quando mio bisnonno Carlo Comino partecipò e vinse un premio, grazie a caramelle di propria produzione, alle “Colom­bia­di” di Genova. Riteniamo che un riconoscimento in un evento così importante significhi che doveva essere in attività già da qualche tempo. Probabilmente era itinerante».

Il cuore del vostro lavoro è sempre stato Mondovì?
«Sì. L’attività principale, con mio bisnonno prima, mio nonno e mio padre poi, era in via S. Agostino, angolo via Funicolare. Nel centro storico della città. Per qualche anno, anche il fratello di mio nonno aveva una pasticceria, a Piaz­za. E il cugino ne aveva una in corso Statuto. Ogni locale aveva il suo indirizzo, chi faceva pasticceria classica, chi liquoreria, e così via. Ma sempre a Mondovì. In realtà c’è stata una parentesi anche a Cuneo, legata a un episodio curioso».

Quale?
«Avevamo un punto vendita in via Roma, ad inizio No­vecento. Lì, per qualche tem­po, per la mia famiglia lavorò Bartolomeo Vanzetti. Prima di emigrare in Ame­rica. Tra i suoi compiti anche quello di andare a prendere mio nonno a scuola…».

Una storia comunque essenzialmente “monregalese”, giusto?
«Assolutamente. A fine anni Sessanta la mia famiglia acquistò il locale che oggi è la nostra sede. Mantenemmo l’at­tività in via S. Agostino per volere di mia nonna, che ci era molto affezionata. Per un po’ di tempo gestivamo addirittura due laboratori».
E poi c’è stato un periodo in cui la pasticceria Comino… non era più della famiglia Comino.
«A inizio anni Novanta mio padre, Giovanni, si ammalò. Noi eravamo ancora bambini. Mia madre non se la sentì di andare avanti, e cedemmo la licenza. Nel 2005, sotto mia spinta, l’abbiamo riacquistata».

Lei è classe 1983. Era giovanissimo. Che coraggio!
«Non avevo ancora 22 anni, ma mi sentivo legato a questa attività. Vederla in mano ad altri mi spiaceva. Ho fatto questa scommessa un po’ pazza per l’età, anche perché per il commercio non erano più gli anni d’oro. Ma è andata bene».

A suo avviso nel momento attuale ci sono ancora giovani disposti a “buttarsi” nel cam­po del commercio?

«Per fortuna sì. È chiaro che se un tempo era più facile rilevare un’attività, come può essere anche questa, storica, rilevante per la città, adesso è più complesso. Le linee di credito vengono aperte dietro cospicue garanzie che non è scontato avere. Le aziende famigliari si chiedono seriamente se ha senso proseguire con le nuove leve, o se puntare su qualcosa di meno rischioso».

Lei è anche presidente dell’As­so­ciazione Commer­cian­ti Monregalese. Come valuta il commercio a Mon­dovì, anche in rapporto al territorio?

«Nel panorama provinciale, Bra e Alba in questi anni hanno saputo assumere una dimensione importante, forse superiore alla stessa Cuneo che però ha tutta una serie di attrattori che creano condizioni favorevoli. Saluzzo e Sa­vigliano – con il loro indotto ortofrutticolo molto marcato – e Fossano – che ha un polo industriale molto sviluppato – hanno puntato su altre vocazioni. Commercialmente Mon­­­­­dovì ha avuto un insediamento di centro commerciale che di punto in bianco ha sparigliato le carte e raddoppiato l’offerta, dando uno scossone violentissimo al commercio e all’economia locale».

Con le famose caramelle del Carnevale (di cui lei è stato anche interprete principale), la pasticceria Comino anticipò i tempi favorendo una compenetrazione città, manifestazioni e commercio. Cor­retto?
«Il commercio più di altri settori produttivi è strettamente legato allo sviluppo di un territorio. Se la città è viva e frizzante, lo sarà anche il commercio. Così quando l’evento si sviluppa, il commercio gli va dietro e viceversa. Certo, in questo circuito la chiave è l’imprenditore, che deve ave­re una mentalità aperta. Bisogna saper osservare e perché no, copiare bene: i miei avi mutuarono l’idea delle caramelle da Torino e il suo Gianduja. È fondamentale poter andare in giro e vedere quello che succede altrove. Io me lo impongo come regola».

Quali sono i cavalli di battaglia di oggi della pasticceria Comino?

«Le risole sono al primo posto, attraggono acquirenti anche ben fuori Mondovì. E poi abbiamo il Rakikò, il liquore tradizionale, una delle “bandiere” di Mondovì, la cui ricetta originaria era stata creata e lanciata dalla mia famiglia. Ma attorno alle proposte tradizionali si cerca sempre di evolvere».

Al proposito: come vede il futuro?
«Da circa tre anni portiamo avanti un progetto di sviluppo, soprattutto nel campo dei social e delle consegne a domicilio: ciò fa sì che l’attività abbia sempre avuto una sua tenuta, anche in momenti difficili, come durante la pandemia. È dal 2005 che investiamo con l’idea di creare uno spazio importante di vendita che sia anche una vetrina del territorio e di Mondovì, perché negli ultimi anni il turismo ci sta dando buone soddisfazioni».