L’eroe di Kiev

L’Ambasciatore italiano in Ucraina, Pier Francesco Zazo ha messo in salvo cento connazionali, tra cui venti bambini: un buono tra i cattivi della guerra, che ha aperto le porte di casa e tracciato il corridoio della salvezza

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Le esplosioni nel cielo di Kiev, confermando presagi funesti e sviluppi strategici tragicamente prevedibili, hanno rischiarato, tra macerie e sguardi atterriti, sagome di carri armati e fucili, il volto rassicurante di un eroe italiano. Gli eroi di guerra, ché di guerra si tratta, seppur così incredibile che capita d’indugiare scrivendo la parola, nell’immaginario indossano anfibi ed elmetti, strisciano in trincee o pilotano caccia, sono quelli delle copertine d’antan disegnati sotto le bombe o dentro nuvole di polvere e fumo con in braccio compagni feriti.

Questo no. Questo è un eroe in giacca e cravatta, con gli occhiali leggeri e l’aria intellettuale, uno che la guerra l’ha conosciuta solo sui libri o nelle esercitazioni della leva ai suoi tempi obbligatoria, eppure ha dimostrato doti da veterano: coraggio, prontezza, altruismo. Si chiama Pier Francesco Zazo, ha poco più di sessant’anni, una laurea in scienze politiche e una lunga esperienza diplomatica, ha ricoperto incarichi importanti a Seul, Stoccolma, Mosca e Canberra e da oltre un anno è ambasciatore in Ucraina, parla cinque lingue oltre all’italiano: russo, inglese, tedesco, francese e spagnolo.

Nell’imminenza del pericolo, Zazo aveva accolto un centinaio di connazionali, di cui venti minori – dieci neonati -, tra la propria residenza e l’ambasciata, e dopo l’ingresso delle colonne militari russe si è dedicato alla loro salvezza. Mentre molte ambasciate sbaraccavano e rappresentanti d’altri Stati lasciavano il Paese, lui ha chiesto di fermarsi e dare una mano agli italiani sul territorio, così diventando l’ultimo a partire. Era successo già a Kabul, e il remake ribadisce la generosità e il senso del dovere italiani, ma è giusto, adesso, soffermarsi sull’eroe nuovo, sul servitore dello stato che vive di disciplina e di onore, per dirla con il sindaco della sua Benevento, o su un esempio di coraggio, dedizione e spirito di servizio prendendo a prestito le parole del premier Draghi. Nessuno è stato abbandonato a se stesso, la via della salvezza è stata tracciata già nella notte dei primi bombardamenti e ha seguito lo spostamento della sede diplomatica da Kiev a Leopoli. «È stata una brutta avventura: l’attacco delle 5,02 della notte mi ha svegliato, avevo paura. I missili avevano colpito l’aeroporto di Boryspil. Ho provato a scappare in Polonia ma dopo dieci chilometri il traffico era paralizzato, così sono andato all’ambasciata – testimonia Luciano Luci, ex arbitro di Serie A, oggi designatore in Ucraina -. E lì ho trovato una persona che mi ha salvato, l’ambasciatore Zazo: ha messo a disposizione la sua residenza, tre piani, a 105 persone». Con lui tante famiglie, una coppia con la bimba appena adottata, dieci figlioletti della maternità surrogata: «Stiamo bene, ospiti dei Salesiani in Moldavia: in Ambasciata ci hanno aiutati e accuditi, hanno organizzato loro il convoglio dei pullman». Non è finita, l’eroe non è stanco. Pensa ad altri connazionali, cerca d’aiutare i papà e le mamme che avevano completato le pratiche di adozione e ora sono lontani da bimbi impauriti, in pericolo negli orfanotrofi ucraini. Un eroe in giacca e cravatta, uno dei tanti buoni tra i cattivi della guerra.