«Ora siamo divisi e abbiamo bisogno solo di emozioni»

Il direttore del Tg5 ha scritto un libro sull’autore di Battisti e non solo: «È l’artista del nostro Paese più celebrato al mondo, il massimo cantore della cultura popolare italiana. Nella sua scuola di Toscolano forgia professionisti completi. Lì è nata l’idea di svelare come sono nati tanti successi. Un segreto? Dopo ogni camminata, abbraccia un albero»

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Clemente Mimun, ci racconta come è nata l’idea di scrivere un libro dedicato ai testi di tante canzoni famose (sessanta) scritte da Mogol?
«Eravamo nella sua scuola, il Centro Europeo di Toscolano, che lui ha voluto nel suo borgo. Gli studenti gli facevano mille domande sulle canzoni, lui rivelava i motivi e i momenti da cui erano nate. Era tutto molto divertente e interessante e quel giorno mi sono detto: sarebbe davvero un peccato non raccogliere in qualche modo tutte queste informazioni. Così è nata l’idea di farne un libro. Ci tengo a sottolineare la passione con cui ha lavorato con me Vittoria Frontini, giovanissima giornalista che, con grande bravura, ha permesso la realizzazione dell’opera».

I testi di Mogol descrivono parte della più recente storia del nostro Paese?
«Sì: Mogol ha scritto più di mille canzoni per tutti i più grandi interpreti. Battisti è quello più riconoscibile, ma ce ne sono tanti altri: ci sono pure Mina, Celentano, Mango, Coc­ciante… Mille canzoni per oltre 500 milioni di dischi venduti. Possiamo dire obiettivamente che si tratta dell’artista italiano più celebrato nel mondo. L’uni­co che ha fatto qualcosa di simile è stato Franco Migliacci con “Nel blu dipinto di blu” di Modugno, ma per il resto credo che Mogol rappresenti un unicum».

Su sessanta canzoni raccontate nel libro, quante sono quelle interpretate da Battisti?
«Non le ho contate, ma sicuramente più della metà. Ma la co­sa incredibile, ripensando a quel giorno trascorso con lui alla scuola di Toscolano, è che gli studenti avevano qualche difficoltà a imparare una poesia a memoria, ma le canzoni cantate da Battisti le ripetevano tutte perfettamente. Recen­te­mente Mogol è andato in Ame­rica e, in un college, i ragazzi americani l’hanno accolto can­tando perfettamente una sua canzone».

Le canzoni di Mogol raccontano bene l’evoluzione della no­stra società, ci tramandano contraddizioni e caratteristiche di noi italiani?
«Raccontano soprattutto la “pancia” degli italiani, il modo in cui viviamo i rapporti affettivi. Non a caso la sua è in definitiva una colonna sonora per almeno tre, se non quattro, ge­nerazioni. Basta pensare che Mogol ha vinto per la prima volta a Sanremo nel 1961 ed è un personaggio davvero particolare perché, anche oggi che ha 85 anni, lui parla di progetti, non pensa mai al suo passato».

Le sue parole, i suoi testi, suonano ancora oggi come attuali. È così?
«Lo dimostra il fatto che vengano suonati in continuazione, almeno quanto un altro grande protagonista come Vasco Rossi. Un’altra particolarità di Mogol è che possiamo paragonarlo a Pico della Mirandola. Ovvero a un personaggio poliedrico, è un autore ma al tempo stesso anche esperto di botanica, di architettura, di medicina. Se avesse dedicato tutto il suo tem­po solo alla canzone, avrem­mo cinque volte il numero dei testi scritti. Ma lui si è concentrato sul suo borgo in Umbria, a Toscolano, ha sviluppato sue teorie sulla medicina, ha valorizzato gli oli essenziali e promosso gli artisti italiani, raccogliendo decine di milioni di euro per buone cause. Mogol è quello che si dice un personaggio a tutto tondo».

Tra l’altro è raro che autori, anche di successo, raggiungano vette di popolarità come ha fatto Mogol.

«Lui è il massimo cantore della cultura popolare italiana. An­che per questo è stato nominato Commendatore della Repub­blica dal presidente Mattarella. E non a caso poi è diventato presidente Siae, dove ha battagliato per il diritto d’autore nell’ottica dei piccoli artisti che non hanno guadagni straordinari, ma magari si arrangiano con mille euro al mese».

Per lei come è stato scrivere questo libro?
«È stato rilassante e divertente, utile per uscire dalla noia del lavoro di tutti i giorni. Specie in tempi di pandemia, dove dobbiamo angosciarci dal punto di vista professionale con gli aggiornamenti sul Covid, co­me in un rituale, e dove poi in parallelo si passa al Pnrr, alla manovra, alle pensioni, ai sindacati. Tutte situazioni interessanti ma, se si può, meglio staccare e andare altrove».

Certe tematiche Mogol le ave­va anticipate nei suoi testi?
«Se andate a leggere il testo di “Mondo in Mi 7a”, scritta per Celentano più di cinquant’anni fa, c’è già tutta la battaglia ambientalista di oggi».

Che cosa lascerà in eredità il lavoro di Mogol?

«Lui è vivo e lotta assieme a noi, ma parla direttamente al cuore delle persone, coglie le parole come fossero farfalle. I testi li scrive sulle musiche, nella musica per lui ci sono già le parole. Finge di fare lo sforzo di cercarle. Io l’ho visto scrivere: quando comincia, non gli stai dietro, ci mette un attimo a creare».

Segue anche la musica attuale?
«Credo che siano pochi gli artisti che ama, lui ha una sua teoria per cui la voce conta, ma l’interpretazione di più. Nella sua scuola lavora per forgiare artisti completi che sappiano anche comunicare».

A lei Mogol che cosa ha trasmesso?
«Da giovane fan, quando ero un ragazzo, mettevo insieme con gli amici le cento lire per il juke-box. Poi grazie al mestiere di giornalista ho fatto tanti incontri, quello con Mogol mi ha reso felice, fa parte della mia vita».

Che cosa le ha insegnato?
«L’importanza di saper parlare direttamente al cuore. Oggi, tra gli artisti, forse solo Vasco Rossi sa farlo. Anche lui è un mio amico».

Mogol ha spinto l’arte oltre la tecnica?
«Lui dice che c’è anche tecnica, ma per come la vedo, conta di più la sua fantasia. Il vero motore è la creatività».

Sono dettagli utili in questa fase che viviamo, così complicata?
«Questo è il momento del politicamente corretto, si deve far finta di essere d’accordo. È il momento in cui ogni confronto porta a due posizioni contrapposte. Ma in tante canzoni trionfa la saggezza, il desiderio di vivere. Questo è importante e non da oggi, da sempre».

La canzone di Mogol che preferisce?
«Sarò banale, ma a me piace “Emo­zioni”: so come è nata. Però, la maggior parte dei dischi di successo di Mogol e Battisti era sul lato B, canzoni quasi da accompagnamento. La cosa bel­la è che, nonostante le tensioni di tutti i giorni, la musica ci accompagna e ci porta serenità: io, quando ho voglia di rilassarmi, metto su un disco e passa il mal di pancia».

Un episodio che descrive Mogol?
«Mi ero incuriosito per le sue frequenti camminate e corsette nei boschi, al termine delle qua­li, ho scoperto, abbraccia sempre un albero. Il suo rapporto con la natura è molto forte».