«Bisogna sempre fissarsi un obiettivo da raggiungere»

L’albese Walter Tortoroglio è stato protagonista alla Race Across Italy pedalando per 31 ore di fila

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Ogni appassionato di bicicletta, da quel­lo amatoriale al più professionale, vi potrà raccontare storie ma­gnifiche. Storie epiche di forza di volontà, di ca­parbietà, con picchi di lucida follia. Di obiettivi che si mo­dificano in una continua ri­cerca del miglioramento. Di al­timetrie da sconfiggere, di percorsi leggendari. Di lotte contro sé stessi, per rubare anche solo una frazione di se­condo al cronometro. E via, si­no all’elevazione della so­glia dei limiti umani. Ele­men­ti che nell’ultraciclismo, specialità che prevede l’impegno su lunghissime distanze, pe­da­lando senza sosta giorno e not­te, raggiungono l’apice più elevato. Questa voglia di sfi­da, di co­noscere i propri limiti per cercare di superarli in un co­stante processo di miglioramento ben si incarna in Water Tor­toroglio, uno dei protagonisti della Race Across Italy, la più nota competizione di ul­tracycling in Italia, andata in scena nei giorni scorsi tra Adriatico e Tirreno.

Tortoroglio, come è arrivato all’ultracycling?

«Lo scorso anno le uniche ma­nifestazioni sportive consentite erano quelle di ultraciclismo, perché non c’è contatto, le partenze dei concorrenti av­vengono ogni due minuti e non si può stare in scia degli avversari. Il consiglio di provare è arrivato dal mio preparatore, Massimo Bechis: lui aveva già seguito Marcello Luca, uno dei principali interpreti dell’ultracycling in Italia».

La sua prima esperienza?
«Alla Ultra Apuane, uno dei circuiti più “corti” con i suoi “soli” 350 chilometri: terzo posto e umore a mille. Al che, con Bechis, ci siamo detti: perché non provare la Race Across Italy? Ci ho pensato un attimo: ho una moglie, una figlia, un’attività… Mi serviva un programma di allenamento speciale e me lo han­no ritagliato su misura».

Ce ne parli.
«La preparazione è iniziata a set­tembre. La settimana tipo prevedeva tre allenamenti il mercoledì, con tratti di 50 chi­lometri alle 5 del mattino, in pausa pranzo e in serata; 100 chilometri in un “colpo solo” in pausa pranzo il giovedì; recupero attivo il ve­nerdì; il sabato, un’ora a cronometro “a tutta”. Nel weekend il “lun­go”: sono partito da un giro di 80 chilometri e sono arrivato fino a 300. Percorsi maggiori avrebbero complicato troppo il recupero».

Arriviamo alla gara.
«Alla conclusione il mio computer di bordo segnava 796 chilometri percorsi, per 10.660 metri di dislivello. Ho impiegato in tutto 31 ore e 7 minuti, con un’ora e 20 di pausa per cambiare mezzo e abbigliamento».

Cambi obbligati?
«Le temperature passavano dai 3 ai 32 gradi: di giorno viaggiavo vestito leggero, di not­te mi coprivo. Per quanto riguarda il mezzo, invece, ne avevo due in dotazione: una bici più leggera per i tratti di Appennino, una più aerodinamica per la pianura».

Punto focale per chiunque faccia sport, ancor più in questo caso: l’alimentazione?
«Sono seguito da un anno da un nutrizionista, Alessandra Remmert. Abbiamo fatto un sacco di prove per arrivare al­lo schema “da gara”: ogni 40 mi­nuti mangiavo panini al latte, con prosciutto cotto e ma­scarpone. A un certo pun­to ho avuto problemi di stomaco. L’istinto era di non man­giare, ma sarebbe stato sba­­gliatissimo. Così ho provato le meringhe col mascarpone spalmato. Efficaci… e pure buone!».

Momenti di crisi?

«Alla 24esima ora ho avuto una crisi di sonno micidiale. La testa mi girava. Bechis mi ha tirato giù dalla bici: “Scen­di e dormi, tra 10 minuti ti chiamo”, mi ha detto. Mi so­no addormentato come un sasso. Dopo 10 minuti mi ha risvegliato, mi ha rifilato un taz­zone di caffè e sono ripartito alla grande. Non mi sembrava vero!»

Ma quanto conta la “testa”?

«Nell’ultracycling serve resistenza più che forza esplosiva o velocità. L’allenamento ti copre i due terzi di gara, il resto è solo testa».

È soddisfatto del risultato?
«Il livello era molto alto: in ballo c’era anche il titolo di campione europeo. Sono arrivato all’ottavo posto della mia categoria. Ma il nostro obiettivo era quello di arrivare in fondo, e lo abbiamo centrato».

Parla al plurale…
«Sì, perché anche se questo è uno sport individuale non ce l’avrei mai fatta senza la mia “squadra” al seguito. La “crew” che mi ha seguito su un furgone camperizzato: assieme a Bechis, mia moglie Chiara e mio cognato Renzo. Mi preparavano le tisane cal­de di notte, mi passavano il caffè dal finestrino. Sono stati fondamentali nel momento della crisi».

Ha già fissato i prossimi traguardi da raggiungere?

«Ho ottenuto il gettone per partecipare alla Race Across America. Vorrei però provare una gara ultra a tempo, la 24 ore del Montello, il 31 luglio: è un circuito di 33 chilometri da ripetere più volte. Valu­teremo la differenza tra le specialità e quella su cui puntare».

Ma… meglio la moto o la bici?

«Amo entrambe. Dal punto di vista delle gare sono due am­biti molto diversi, anche se la sensazione della velocità in di­­scesa è simile. Ma il punto importante che le accomuna è la voglia di sfida. Quella non de­ve mai mancare».