I dati dei primi 9 mesi 2020 elaborati dalla Direzione Studi e Ri­cer­che di Intesa Sanpaolo evidenziano come i distretti agro-alimentari piemontesi ab­biano mostrato una lieve crescita rispetto ai primi 9 mesi 2019 (+1,8%) nonostante la pandemia, grazie ad un primo trimestre di crescita (+5,8%), un secondo trimestre di calo (-5,8%) e un buon recupero nel terzo trimestre (+3,9%). Il Distretto della Frutta e Nocciola Piemontese è riuscito a mantenere inalterato il valore delle proprie esportazioni: i cali verso Arabia Saudita, Brasile, India, Spagna e Stati Uniti sono stati compensati da incrementi verso Egitto, Belgio, Germania (primo mercato del distretto verso il quale sono indirizzate circa un quarto delle esportazioni) e Danimarca. Il secondo mercato del distretto per importanza, la Francia, è rimasto sui livelli dei primi 9 mesi 2019. La frutta e nocciola piemontese è riuscita a far meglio in termini di export rispetto alla frutta romagnola e dell’Agro Pontino (rispettivamente -16,5% e -6,8% tendenziale sempre nei primi nove mesi del 2020).
A fare il punto della situazione per quanto riguarda il settore dell’ortofrutticoltura locale è Domenico Paschetta, presidente di Ortofruit Italia, organizzazione di produttori con sede a Saluzzo che coinvolge più di 500 aziende agricole coordinate dalle 15 cooperative aderenti per un volume totale di 20.000 tonnellate commercializzate, insieme per valorizzare le produzioni orticole e frutticole che meglio si sposano con questo territorio: kiwi, pesche e nettarine, mele, pere, susine, piccoli frutti, ortaggi, pomodori, peperoni e verdure in foglia.

Presidente Paschetta, che anno è stato il 2020?
«È stato anomalo, non solo per via del Covid. Ci sono state diverse condizioni climatiche sfavorevoli in giro per l’Europa. per cui c’era l’offerta è stata scarsa, con la conseguenza di prezzi anche piuttosto sostenuti. Ormai da tempo in annate normali alcuni prodotti, come le pesche, fanno fatica e sono poco remunerativi per le aziende perché esse sono costrette a sostenere costi molto alti rispetto ai loro competitori. A questo si è aggiunta la batteriosi del kiwi, che ha ridotto l’ettaraggio di produzione in Piemonte da 5.000 a 1.500 ettari. Un forte calo di produzione che ha determinato una ristrutturazione nelle aziende agricole, cosa che ha reso necessario sostenere spese non indifferenti».

Se è consentita la battuta, siamo sicuri che non sia colpa del fatto che il kiwi sia positivo al Covid, come dicono certi presunti esperti?
«È una affermazione talmente assurda che fa sorridere. Il kiwi, come altri tipi di frutta, è ricco di vitamina C. Non dico che siano un antidoto al Covid, ma certo contribuisce a creare una buona barriera contro i virus influenzali. Quindi, semmai è un aiuto».

Tornando al Covid, questi periodi di chiusura e di minimi spostamenti consentiti ha, almeno per un certo verso, anche favorito la produzione locale?
«La domanda interna è in effetti cresciuta, specie per alcuni comparti come quello dei piccoli frutti. Per altri, come le mele, in cui il mercato è il mondo, al momento non ci sono stati grossi contraccolpi a livello di consumi. È ovvio, però, che se perdura questa situazione e il segmento Horeca (Hotel, ristorazione e cafè, ndr) resta chiuso, la contrazione di quei consumi, a lungo andare, farà sentire i suoi effetti. Per adesso stiamo mantenendo i livelli: sull’agroalimentare non c’è stato l’effetto negativo che ha toccato altri settori».

Se mai usciremo da questa emergenza con qualche consapevolezza in più, una potrebbe riguardare l’importanza di un alimentazione più sostenibile?
«Io penso di sì, perché il cibo, una volta ingerito, diventa parte di noi; deve essere in primo luogo un prodotto sicuro. La nostra attenzione va in quella direzione: fornire un prodotto sostenibile, pulito e sicuro è stato uno degli sforzi maggiori. Credo che il cambio di alimentazione e il diffondersi di alcuni mondi come quello vegano, apriranno prospettive positive per frutta e verdura. È chiaro che siamo in competizione con il mondo: puntando su qualità e sicurezza possiamo dire la nostra».

Davvero il cliente medio è in grado di premiare la qualità?
«I consumatori sono sempre più attenti e con maggiore frequenza scelgono consapevolmente. È ovvio che un ruolo importante lo gioca la distribuzione, la quale nel costruire la propria offerta e nella selezione dei prodotti, orienta le scelte del consumatore».

Quindi per voi è più importante agire sulla catena distributiva che sul consumatore finale?
«Il consumatore, in un certo senso, accetta la proposta del punto vendita. Per uno che va a cercare, ce ne sono dieci che si adeguano all’offerta e accettano la proposta sullo scaffale»

Almeno per il medio periodo è ottimista?
«Io sono ottimista, a patto che il settore si evolva continuando ad innovare e non stia fermo. Negli ultimi tempi si è andati molto avanti; la ricerca del prodotto buono e sano passa anche attraverso l’utilizzo efficiente delle acque e dei fertilizzanti, attraverso le soluzioni fornite dalla tecnologia».

Tecnologia importante anche per la vendita…

«Ormai anche la vendita di frutta e verdura stanno sbarcano sul web, quindi bisogna essere in Internet e fare rete tra i produttori per poter offrire un servizio che sia all’altezza delle aspettative di chi utilizza quel mezzo per i propri acquisti».