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«Il rombo del motore per me è musica»

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Sarà l’abitudine a giocare sulle frazioni di secondo, la propensione a lottare contro il tempo. Sta di fatto che Mirco Giordano, an­che quando risponde al telefono, ha un tempismo da “pole position”. Lui, trentaduenne originario di Cortemilia, è uno degli in­gegne­ri che, ogni giorno, nel quartier generale di Maranello, si occupa di migliorare le “performance” dei bolidi Ferrari impegnati nel Mondiale di Formula Uno.

Giordano, a Maranello siete tutti così puntuali?

«Diciamo che sul rispetto delle scadenze e sulla velocità di reazione non possiamo sbagliare… (sorride, nda)».
Del resto, lavorate nella “casa della velocità” per eccellenza. Se ne rende conto?
«Ancora oggi, dopo cinque anni, mi chiedo come sia possibile. Ho realizzato il sogno della mia vita».

Voleva diventare un pilota?

«No, a dire il vero. Ma ero attratto da auto e moto sportive».

Come se n’è accorto?
«Prima se ne sono accorti i miei. In famiglia, eccezion fatta per uno zio meccanico, nessuno era appassionato di motori. Nonostante ciò, cercavo le macchinine in continuazione: non le facevo “correre”, ma le distruggevo in modo da poterle poi riparare. Mia madre mi racconta che lo facevo anche all’asilo!».

Quando è diventato consapevole di questa passione?

«Il 26 ottobre 1997, a nove anni, guardando, per caso, il Gran Pre­mio di Jerez de la Frontera, in Spa­gna, quello della “sportellata” di Schu­ma­­cher a Jacques Villeneuve: rimasi folgorato. Da allora, non ho perso una gara».

Cosa pensava osservando i cam­­pioni sfrecciare in tv?

«Li ammiravo ma, soprattutto, adoravo ascoltare il suono dei loro motori…».

Ha detto «suono», ma quello del motore non è un rumore?
«Non scherziamo: è pura musica! (ride, nda)».

Ne parlava ai compagni di scuola?
«Eccome! E mi prendevano pure in giro perché utilizzavo solo zaini, astucci, diari e quaderni legati al mondo dei motori. In più, disegnavo ovunque auto e moto schierate in griglia di partenza…».

Chi metteva in “pole position”?
«Ferrari e Ducati!».

A 14 anni si sarà sicuramente fatto regalare il motorino…
«I miei, in effetti, me lo proposero. Ma rifiutai: dissi loro di risparmiare i soldi per poter comprare, due anni dopo, la moto 125».

Gliela presero?
«Sì. Una fiammante Cagiva Mito! La cosa curiosa è che, negli anni, ho passato più tempo a “elaborarla”, per renderla più veloce, che a guidarla (ride, nda). È ancora in garage a Cortemilia e, quando torno in Alta Langa, vado a “visitarla”».

Quando ha pensato di trasformare la passione in lavoro?
«Negli anni delle superiori, compresi che mi sarei voluto dedicare alla meccanica. Così mi iscrissi al Politecnico di Torino: è stata dura, non posso negarlo. Ho fatto tanti sacrifici, come del resto li hanno fatti i miei genitori. Ma ne è valsa la pena perché i progetti realizzati durante il percorso universitario si sono rivelati decisivi per l’approdo in Ferrari».

Ci dica di più.

«Ho collaborato per 2Wheels­Poli­To, il team che partecipa alle gare motociclistiche riservate alle squadre universitarie. Un’e­spe­rienza unica. Come unica è stata l’esperienza della tesi, che ho realizzato al “banco prova”, analizzando il comportamento di un motore diesel “modificato” in modo da ridurne le emissioni».

Com’è arrivata la Ferrari?
«Qualche settimana dopo la laurea, mi contattò un’agenzia del la­voro di Torino per un colloquio. Ci andai. Solo al termine mi dissero che era per la Ferrari. In seguito, l’agenzia mi ricontattò e mi disse che la Ferrari era interessata: avrei dovuto sostenere un secondo colloquio, questa volta a Maranello».

Andò da solo?

«Mi accompagnò Marianna, la mia fidanzata. Prenotammo una stanza presso l’hotel a tema Fer­ra­ri, il Maranello Village, e visitammo il museo. Fu come un pellegrinaggio. Anche se fosse finita lì, l’avrei comunque raccontata ai nipoti (ride, nda)».

Ora, però, ha una storia ancora più bella da raccontare.

«Il colloquio durò un’ora e mezza. Ebbi modo di raccontare le esperienze vissute al fianco del team universitario e presentare il progetto della tesi. Testarono anche il mio livello di… “ferrarismo”».

Ecco perché l’hanno scelta…

«Non so quanto, ma ciò ha sicuramente influito. Due settimane dopo il colloquio, mi richiamò l’agenzia: la Ferrari mi aveva scelto. Avevo un’ora per decidere: accettai all’istante! Otto giorni dopo ero a Maranello».

Come fu l’impatto?

«Non semplice: non conoscevo nessuno e non avevo ancora una sistemazione. Con il tempo, tutto è migliorato. Poi, quasi due anni fa, si è trasferita qui anche Ma­rian­na, a cui devo dire un grosso grazie per avermi seguito. Viviamo a Fiorano».

E magari, da casa, sentite pure il “suono” delle auto che girano sul circuito…

«Ovvio! Altrimenti non avrei scelto quella casa…».

L’emozione del primo giorno in “rosso”.

«Appuntamento alle 9, all’entrata principale. Il mio re­sponsabile mi diede il benvenuto; poi, mi fece visitare la sala “prova motori” del­la Gestione Sportiva, in cui avrei lavorato. Mi pareva di essere al “luna park”».

Di cosa si occupa?

«Testo, al “banco prova”, i motori che verranno poi utilizzati dalle Ferrari impegnate nel Cam­pio­na­to Mondiale di Formula Uno».

Insomma, è a stretto contatto con i motori…

«Una volta montato, il motore vie­ne posto al centro di una cella ca­ratterizzata da una grande vetrata centrale in vetro antiproiettile. Io lavoro nella postazione dietro a quella vetrata e, attraverso appositi “software” di calibrazione e telemetria, registro come si comporta il motore al variare di alcuni parametri o componenti, in modo da fargli raggiungere il massimo della potenza. Infine, analizzo i dati raccolti e produco un “report”».

Com’è l’ambiente?
«È un ambiente dinamico, siamo in ogni momento pronti a perfezionare i progetti in base ai risultati dei test. Ciò comporta una pressione notevole, ma alla fine la passione prevale sempre. Vedere il motore nascere, crescere e poi “spingere” le auto in pista regala emozioni impareggiabili».

Specie in caso di vittoria…

«I gran premi vinti negli scorsi anni prima da Vettel e, poi, da Leclerc hanno dato un entusiasmo pazzesco. Ora speriamo, e sarebbe il sogno nel sogno, di poter portare di nuovo a casa il Mondiale Piloti e quello Costruttori, che mancano da troppo tempo».

Tornerà un giorno a Cortemilia in pianta stabile?

«Sono molto legato ai miei amici, ai miei genitori e a mia sorella, che sono i primi artefici di questo sogno realizzato. Chissà che un giorno pos­sa anche a tornare a vivere tra quelle splendide colline, magari per aprire un’attività legata al mondo dei motori. Ma prima dobbiamo vincere il Mondiale!».

BaNNER
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