Alto contrasto | Aumenta dimensione carattere | Leggi il testo dell'articolo
Home Articoli Rivista Idea 1986 – L’assoluzione di Enzo Tortora

1986 – L’assoluzione di Enzo Tortora

Il caso del noto conduttore televisivo divise l’Italia e neanche la sua assoluzione riuscì a cancellare i segni lasciati dall’ingiustizia

0
682

«Dunque, do­ve eravamo rimasti?”. Si chiu­­deva così, con una domanda retorica posta con le consuete ironia e pacatezza dal diretto interessato, una delle pagine più incredibili della storia del mondo dello spettacolo e della giustizia italiane.
Il 15 settembre 1986 Enzo Tortora veniva assolto dall’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico, dopo tre anni di drammatiche vicende giudiziarie, inaugurate con il clamoroso arresto avvenuto il 17 giugno 1983, e tornava a essere un uo­mo libero, benché segnato nell’anima e nel corpo da un’e­sperienza che non lo avrebbe mai più abbandonato fino alla morte, giunta di lì a poco.
Quella di Tortora è la storia di un dramma all’italiana: uno degli uomini più amati della televisione dello Stivale, capace, forte della sua fama, di puntare addirittura i piedi contro le linee editoriali della Rai, trasformato in un criminale, in un meschino trafficatore e nel traditore della sua gente.
La gloria dei decenni precedenti crollata in una notte, di fronte a un’accusa che pareva non lasciare spazio a possibili giustificazioni: quasi quattromila pa­gine di carte giudiziarie, 586 arresti e tra questi, appunto, quello del volto noto di “Por­to­bello”, reo di essere colluso con la camorra e di avere radicati rapporti con i principali boss della malavita dell’epoca, tanto da fi­gurare nel taccuino di uno di loro.
Seguirono tre intensi anni di carcere, arresti domiciliari, scar­cerazioni, nuove condanne e tante lettere di richiesta di aiuto, compresa quella indirizzata da Tortora al monregalese Raffaele Costa, all’epoca deputato del Partito liberale, nella quale campeggiava il monito “fa­­te presto”. Quando i giudici si resero conto che quella prodotta dai pentiti non era altro che una messa in scena, volta a infangare una figura di spicco della tv italiana, la condizione dell’uomo, che an­che nel corso del processo si era sempre professato innocente, era ormai fortemente segnata.
Tortora, divenuto nel frattempo anche europarlamentare per il Partito radicale, ritornò in sce­na con “Portobello” a cinquantotto anni, rivolgendo quella do­manda al pubblico in sala, che gli aveva tributato una “standing ovation”, e a casa, aggiungendo poi: «Io sono qui, e lo so, anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi».
Fu una dichiarazione d’amore verso la sua gente, resa protagonista per la prima volta alla Domenica sportiva, programma che Tortora condusse nella se­conda metà degli anni Ses­santa rendendolo unico con l’introduzione della figura del­l’opi­nionista sportivo, e soprattutto con “Portobello”, lo “show” di intrattenimento che dava un volto al pubblico e lo poneva al centro, tra televendite e tentativi di far parlare un pappagallo.
La stessa gente che si divise sul suo conto, ribadendo l’infinita indole tipicamente italiana di dividersi in poli opposti, come ricorderà Leonardo Sciascia in un celebre scritto: «Il caso Tortora è in questo senso esemplare: coloro che detestavano i programmi televisivi condotti da lui, desideravano fosse condannato; coloro che invece a quei programmi erano affezionati, lo volevano assolto».

BaNNER
Social media & sharing icons powered by UltimatelySocial