Da quando, nel 2018, l’Unesco ha dichiarato l’arte del­la costruzione in pietra a secco patrimonio im­materiale dell’umanità, si è riaccesa la discussione sui paesaggi terrazzati dell’alta Langa. A giugno, nel contesto del premio “An­­calau” di Bosia, se ne è parlato nel convegno
“Col­tivare il paesaggio”. Poche settimane do­po l’assessore albese Carlotta Bof­fa è intervenuta a Cor­temilia auspicando interventi di tutela e promozione dei mu­ri in pietra a secco. L’8 settembre, alla consegna dei premi “Fedeltà alla Langa” di Ber­go­lo, il fotografo Bruno Murialdo ha parlato del suo progetto per valorizzare i terrazzamenti, i­ni­zia­tiva già all’attenzione del consigliere re­gionale Maurizio Ma­rello. Ma c’è chi i paesaggi terrazzati li promuove da oltre vent’anni. L’architetto Donatella Mur­­­tas, ideatrice nel 1995 del­l’Eco­museo regionale dei terrazzamenti e della vite di Cor­temilia e sua coordinatrice dal 1999 al 2011 e di nuovo dal 2019, si è distinta per il lavoro di valorizzazione delle tecniche costruttive con la pietra a secco e del loro impatto paesaggistico: coordinatrice della Sezione italiana del­l’Al­leanza mondiale per il paesaggio terrazzato, è stata ispiratrice del premio letterario cortemiliese “Il gi­gante delle Langhe”, nonché autrice del libro “Pietra su pietra-Costruire, mantenere, recuperare i muri in pietra a secco” (“Pen­tàgora”, 2015).
Per comprendere meglio le re­centi proposte e il contesto in cui si inseriscono, “IDEA” ha intervistato Donatella Murtas.
Perché si è tornato a parlare di arte della costruzione in pietra a secco? Com’è cambiato il giudizio riguardo questa tecnica?
«Il paesaggio terrazzato è costituito da molti elementi, primo fra tutti la conoscenza delle tecniche per costruire con la pietra a secco. Sono saperi antichi, che fino a non molto tempo fa venivano visti come antiquati, ultime vestigia di un mondo contadino che puntava alla sussistenza. Tuttavia, dopo anni di abuso del cemento, il muretto in pietra a secco è stato rivalutato sotto svariati punti di vista: è sostenibile, perché usa perlopiù materiali locali; è vivo ed è casa per la flora e la fauna, “habitat” fondamentale per il mantenimento della biodiversità; è un prezioso alleato contro il dissesto idrogeologico. Quello dell’Unesco è un riconoscimento importante, che mette al centro una conoscenza sì intangibile, ma che ha conseguenze e ri­cadute importanti anche a livello ma­teriale».
Qual è l’azione fondamentale da mettere in campo per supportare la cultura della tecnica co­struttiva in pietra a sec­co e renderla protagonista del paesaggio?
«Al centro c’è la necessità di trasmettere questa conoscenza, come sottolinea anche l’Unesco. In Europa esistono scuole apposite e alcuni artigiani che si sono specializzati in tale tecnica co­struttiva hanno lavoro prenotato per i prossimi anni: è un percorso gratificante e remunerativo che unisce tradizione e innovazione. Dal 2012 al 2014 ho rappresentato i “partner” italiani in un progetto ap­provato e sostenuto dal­l’Unione europea per il programma di ap­prendimento “Leo­nardo”, dedicato allo scambio di saperi e competenze tra artigiani e scuole della pietra a secco. Si è trattato di incontri formativi fra Fran­cia, Italia, Spa­gna e Regno Unito, in cui gli artigiani hanno potuto lavorare insieme, scambiandosi esperienze, co­struendo un lessico comune e gettando le basi per una
co­dificazione più rigorosa della tecnica: oltre trenta professionisti che per anni hanno
cu­stodito i segreti della pietra a secco e che hanno deciso di trasmettere il proprio tesoro».
In Italia esistono percorsi professionali per diventare artigiani della pietra a secco?
«Non esiste ancora una scuola ufficiale. Nel nostro Paese ci so­no artigiani bravissimi che però spesso non hanno consapevolezza del proprio ruolo. Ci sono an­che giovani che hanno imparato il mestiere dai padri e troviamo maestri che hanno frequentato la scuola francese di pietra a secco che invece rilascia un titolo professionale riconosciuto. Con la Sezione dell’Al­lean­za mondiale dei paesaggi terrazzati nel 2017 abbiamo dato vi­ta, con altre realtà, alla “Scuola italiana della pietra a secco” che risponde alle esigenze del nostro territorio: non è centralizzata, ma è una sorta di costellazione. Il vero la­voro è mettere in connessione i puntini sulla mappa, portate a co­no­scen­za i presìdi di quest’arte e sensibilizzare l’opinione pubblica. Ave­re una competenza diffusa permette interventi tempestivi e, al contempo, offre alle co­mu­nità locali concrete possibilità di lavoro e at­trattività paesaggistica».
Che idea si è fatta di questa rinata sensibilità ver­so i terrazzamenti dell’alta Langa e. in particolare. della proposta di Bruno Murialdo?
«Spero che il progetto tro­vi seguito e che si ponga sempre più attenzione al tema. Confido nel­l’im­pe­gno delle am­mi­nistra­zioni e nel­l’interessamento delle comunità locali. Avrei piacere, e credo che questo approccio al tema sia ne­cessario, che ci fosse il coinvolgimento diretto di chi da tempo si impegna per valorizzare i no­stri terrazzamenti e in ge­nerale l’arte della costruzione in pietra a sec­co: da oltre vent’anni l’Eco­mu­seo di Cortemilia propone iniziative e corsi su tali ar­go­menti. In alta Langa ci sono artigiani bravissimi ed esistono circuiti come l’Alleanza mondiale dei paesaggi terrazzati che hanno costruito una solida rete internazionale di conoscenze. È importante parlare con chi ha già un ruolo attivo, altrimenti si ri­schia di vanificare gli sforzi di questi an­ni. Se si sviluppa una maggiore sensibilità al tema, è anche grazie a questo len­to, ma approfondito lavoro che va riconosciuto, valorizzato e in­tegrato nei progetti futuri, anche perché l’alta Langa non è che uno dei tanti territori protagonisti di quest’arte: servono alleanze, scambi e visioni comuni».