Non c’è modalità d’espressione del mondo dello spettacolo a cui si sia sottratto: teatro, cinema e televisione, Luca Barbareschi li ha vissuti e li vive da ogni prospettiva possibile, tanto dal palco, davanti alla macchina da presa o di fronte alla telecamera, quanto dalle retrovie. Attore, re­gista, direttore di teatro (l’“Eliseo”, a Roma), produttore televisivo, “showman”, imprenditore, Barbareschi si è risparmiato nulla, nemmeno un’incursione in Parlamento (fu eletto nel 2008 nelle file del Pdl), tre mogli e sei figli. L’unica cosa che manca per ora è che la sua vita diventi il soggetto di un film o di una rappresentazione teatrale o di una “fiction”. Cosa che avrebbe una ragion d’essere, vista la sua personalità strabordante che ha permesso, tra le altre cose, di realizzare un’intervista niente affatto ingessata, iniziata parlando dello spettacolo teatrale “Il penitente” in programma ad Alba e finita in meandri più personali e non meno interessanti.
Partiamo da cosa fa prima che si alzi il sipario. Quale approccio ha con i luoghi in cui va in scena?
«Dipende dai casi. Per quanto riguarda Alba, arriverò la sera prima, così avrò modo di godermi il luogo, che merita più di un passaggio fugace. Questo lavoro mi ha dato la fortuna di girare il mondo e l’Italia, scoprendo angoli del nostro Paese che diversamente non a­vrei avuto modo di conoscere»
Quanto, in qualità di regista, ha aggiunto di suo nella messa in scena della commedia di David Mamet?
«Io sono molto rispettoso dei testi che porto in scena, anche perché, come in questo caso, trattano temi con cui l’autore si è confrontato più a lungo e più a fondo. Penso che il ruolo del regista consista nel dirigere gli attori al meglio, aiutandoli a interpretare la partitura, come avviene nella musica, e nel dare un’idea scenografica della rappresentazione. Per quanto concerne “Il penitente”, poi, siamo di fronte a un testo ispirato a una storia vera, il caso “Tara­soff”, accaduta in California negli anni Settanta».
Come ha scelto Lunetta Savino per il ruolo di coprotagonista?
«Mi sembrava la più adatta per quel ruolo. È una bravissima attrice, che ho già ammirato svariate volte in ruoli diversi al cinema, in tv e a teatro. Mi pareva potesse rappresentare al meglio una moglie normale, al fianco di una personalità complessa come può essere quella di uno psichiatra travolto da un turbine di eventi che mette in crisi anche il proprio privato».
“Rassegnato, ma vigoroso” è una definizione che è stata data del suo personaggio ne “Il penitente”. Pensa si addica anche al Luca Barba­reschi uomo?
«In parte sì: ho 63 anni (in realtà ne ha ancora 62, essendo nato il 28 luglio 1956, ndr) e a una certa età la rassegnazione è inevitabile. Però non smetto di spendermi ogni giorno per i miei tanti progetti, senza timori per il futuro. Come si dice: “Male non fare, paura non avere”».
Lei è tante cose: attore, regista, produttore, direttore di teatro, presentatore. Come fa a rimanere credibile in ogni veste?
«Facendolo con serietà. è l’unico modo possibile. E poi ho uno “staff” di sessanta persone che lavora con me, grandi professionisti che da anni mi permettono di fare quello che faccio».
Ha prodotto un film per la tv su Mia Martini, alla quale, da viva, nel mondo dello spettacolo c’era chi imputava di portare sfortuna, emarginandola, e ha messo sotto contratto Fausto Brizzi, accusato di molestie sessuali, in una vicenda che finora non ha portato a conclusioni e la cui posizione sta andando verso l’archiviazione. Lei si conferma uno a cui piace andare controcorrente…
«Per quanto concerne chi è coinvolto in questioni giudiziarie, sono garantista. Lavorava per me anche Asia Argento che a un certo punto ha pensato bene di abbandonare, mentre portava in scena “Ro­salind Franklin”, la scienziata inglese che per prima riuscì a fotografare la doppia elica del Dna, dovendosi confrontare per anni con colleghi uomini. Era un personaggio perfetto anche per portare avanti le battaglie in difesa delle donne. Io penso che un attore o un’attrice possa prendere posizione e dare il proprio contributo alla causa anche e sopratutto in questo modo».
Ha tanti progetti legati alla televisione, ma nessuno davanti alle telecamere. Non le manca nemmeno un po’?
«Mi manca eccome e ci tornerei volentieri, ma il punto è che non mi vogliono più davanti alle telecamere, né in Rai, né in Mediaset, (ai cui fatturati ho contribuito in maniera significativa con gli in­troiti legati ai miei programmi). In tanti mi dicono: “Quel programma sarebbe stato perfetto per te” e io sono d’accordo, perché mi sento molto “showman”, però non dipende da me».
A quale personaggio portato in scena sente di somigliare di più?
«“Cyrano de Bergerac”, rappresentato per i 100 anni dell’“Eliseo”, uno spettacolo che mi spiace non poter portare più in giro per via dell’allestimento troppo impegnativo. Cyrano è uno spadaccino del­le parole, uno che combatte per le sue idee sino all’ultimo. Ha molti tratti miei di guasconeria, la voglia di provocare, quell’“amo essere odiato, mi piace dispiacere”. È un personaggio che mi appartie­ne an­che nella sofferenza interiore, nello sentirsi solo in battaglia. La solitudine è un tratto del mio carattere che molte delle don­ne che ho avuto accanto in passato hanno contribuito ad accentuare».
È “penitente” solo in scena oppure c’è qualcosa di cui si pente anche nella vita privata?
«Di essere stato egoista, di aver pensato al mio lavoro prima di tutto il resto, anche dei miei figli . Ma d’altronde è l’unico modo possibile per sentirmi realizzato. Sono uno che preferisce avere rimorsi piuttosto che rimpianti».
Confessarlo la rende meno egoista o di più?
«Forse di più, perché è un modo per cercare di giustificarmi agli oc­chi dei miei figli. Ma la verità è che so bene che non basta».