La musica ti porta ovunque. Lo fa con chi la ascolta, capace com’è di farti sentire nel cuore dell’Africa e, nel giro di una manciata di note, su una spiaggia californiana; ma permette anche, a chi la compone, di arrivare dove non avrebbe immaginato.
La musica, per esempio, ha portato Gabriele Roberto da Alba, dov’è nato e cresciuto, prima a Cuneo, per frequentare il Conservatorio, dove si è formato, quindi ad Alessandria, dove si è diplomato, poi a Londra, per il “post graduate diploma in composition” al “Royal college of music” e alla fine in Giappone, dov’è stato il primo compositore italiano ad aggiudicarsi il “Japan academy award”, il maggior riconoscimento del Paese del Sol levante in àmbito cinematografico.
Residente a Tokyo, Gabriele Roberto compone musiche per film, animazioni e pubblicità televisive (anche in Italia), ed è attivo pure come orchestratore e arrangiatore per gruppi musicali giapponesi.
«Dopo aver sparso demo cd in giro per Italia, Regno Unito e Stati Uniti, ne mandai uno a una compagnia giapponese», esordisce il compositore, contattato da “IDEA”. «Il produttore apprezzò le mie musiche, eseguite da compagni di conservatorio e da me registrate e mi invitò a provare a lavorare alla colonna sonora di “Memories of Matsuko” che ebbe un grandissimo successo in Giappone e anche un po’ fuori».
Forte di questo “exploit”, Gabriele Roberto ha continuato a lavorare in Giappone, togliendosi altre soddisfazioni.
Roberto, è questa la vita che lei sognava da bambino?
«Ho iniziato a 6 anni suonando il pianoforte e da piccolo volevo diventare un grande pianista. Verso i 13 anni ho iniziato a scrivere brani sulla falsariga di quello che studiavo. Cose semplici, dalle quali però è venuta fuori una certa attitudine. Durante gli anni delle superiori, però, ho smesso con la classica e mi sono messo a suonare in una “band” che faceva jazz, rock, fusion tipo Chick Corea . Ma l’amore per la classica era troppo forte e ho proseguito a studiare composizione».
Ha investito grandi risorse nella musica. Un rischio calcolato?
«Diciamo che ho puntato tutte le “fiches” su un numero e mi è andata bene. Per fortuna, mio papà, che è appassionato di musica e musicista, mi ha supportato negli studi, però ho passato un paio di anni, tra la fine degli studi e i primi lavori in Giappone, in cui era piuttosto ansioso».
Un altro momento di svolta è rappresentato dai primi lavori in Italia. Com’è avvenuto?
«Dopo cinque anni di lavoro per il mercato giapponese sono stato scoperto da Walter
Fasano che è il montatore, tra gli altri, dei film di Luca Guadagnino e ha una cultura cinematografica straordinaria. Ha visto per caso un articolo sul giornale della Siae, vecchio di qualche anno, in cui si parlava di un italiano che aveva vinto un premio in Giappone e ha ordinato i dvd su internet. Quello che ha visto e sentito lo ha convinto, così mi ha scritto che gli sarebbe piaciuto collaborare e ha iniziato a propormi ai registi con cui lavorava. Il mio primo film italiano, grazie al suo tramite, è stata “La vita facile” con attori del calibro di Stefano Accorsi, che per me era un mito fin dai tempi di “Santa Maradona”, e Pierfrancesco Favino».
Poi sono venuti altri film e altri premi, come il “Chioma di Berenice” nel 2015 per la colonna sonora di “La prima volta (di mia figlia)” diretto da Riccardo Rossi.
Da cosa si parte per comporre una colonna sonora?
«Ogni film è un mondo a sé: posso partire dalla lettura della sola sinossi e quindi scrivere un tema che poi magari diventa quello portante, com’è successo con il film di Maria Sole Tognazzi “Io e lei”, oppure, come più volte in Giappone, ricevere il film finito e lavorare su quello. A volte i film li montano su musiche già esistenti e poi il compositore deve sostituirle, trovando l’originalità per far funzionare al meglio il tutto, altre volte ti danno carta bianca».
Quale obiettivo si pone quando compone?
«Mi piace sempre e comunque cercare di dare una certa raffinatezza all’orchestrazione, non essere mai scontato e, anche nella semplicità, cercare delle soluzioni da compositore, tenendo un livello abbastanza alto, compatibilmente con il mio stile. Dipende dal genere, poi: mi è capitato di dover fare colonne sonore solo con suoni elettronici, per esempio. Devo dire, però, che prediligo l’orchestra: ho fatto studi classici e mi piace colorare molto le mie partiture».
Le piacerebbe avere una visibilità alla Allevi?
«Mi piacerebbe ottenerla musicando un film che ottenga un successo planetario. Ma non sono un esecutore: non faccio concerti, sono meno visibile. Potrei pensarci, ma quando scrivi soprattutto per orchestra è difficile trasporre per pochi strumenti senza rischiare di abbassare la resa».
La fiction Rai attualmente in onda, “La compagnia del cigno”, la sta facendo conoscere al grande pubblico?
«Proprio stamattina pagando con carta di credito, la signora alla cassa mi ha detto: “Lo sa che lei è un omonimo del compositore che ha scritto le musiche di una serie tv che sto seguendo?”. Le ho risposto che ero quel compositore e lei, imbarazzata, non poteva crederci. Non me l’aspettavo nemmeno io. È la prima volta che mi capita. Comunque chi fa questo mestiere non lo fa per diventare famoso».
Le piace se definisco quello che fa “musica per immagini”?
«Non mi piace e non mi dispiace. Cerco di fare sì che la mia musica, anche se per immagini, stia in piedi da sola, come musica che arriva a dire delle cose di per sé».
Con quale spirito ritorna ad Alba e dintorni?
«Mi fa piacere, ci torno spesso, a maggior ragione con questi progetti che richiedono la mia presenza. Mio padre sta a Monforte d’Alba e io adoro le colline e i paesi di Langa».
Domanda finale secca: sushi o “tajarin”?
«Mi piacciono tutti e due. Però, se devo proprio scegliere, dico… “tajarin”!».
La musica, il mondo di Gabriele Roberto
Albese, ha iniziato la carriera di compositore in Giappone e ora raccoglie consensi (e ingaggi) anche nel nostro Paese. è sua la colonna sonora della serie televisiva “La compagnia del cigno”