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L’opinione di Giuseppe Remuzzi

È vero che in italia abbiamo sempre meno medici a disposizione? e che i migliori vanno all’estero? che cosa si può fare per invertire la tendenza? il parere dell’esperto

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«A preoccupare non è la carenza complessiva, ma la mancanza di specialisti. più che gli stipendi valgono le motivazioni: investiamo nella ricerca»

Annoso problema, quello della fuga dei medici all’estero. Si arriverà a una situazione d’emergenza? Oppure sarà possibile trovare le soluzioni a ogni problema? «La questione va considerata nel suo insieme – commenta il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano in un colloquio con il Corriere della Sera -. In base ai dati più recenti, a preoccupare non è la carenza complessiva di medici bensì di specialisti, soprattutto in medicina d’urgenza, microbiologia e patologia clinica. Invece il numero di laureati in Medicina rispetto alla popolazione per 100mila abitanti ha un valore tra i più alti in Europa: 18,7 per 100mila abitanti, rispetto a 9,9 in Francia e 12 in Germania».
Non solo: «Anche l’aumento del numero dei dottori negli ultimi quattro anni non sembra avere eguali come trend negli altri Paesi europei. Nell’ultimo decennio – spiega Remuzzi – abbiamo una corrispondenza tra numero di neolaureati (circa 136mila) e posti programmati per accesso a corsi di formazione post laurea (circa 146mila). Il numero di medici attivi è di quattro ogni mille abitanti, in linea con la media europea».
Ma che ci sia una scarsa presenza sul territorio è una verità. «La carenza di specialisti in alcune aree è autentica. E si deve alla scarsa attrattività di alcune scuole di specializzazione e alla mobilità estera, appunto. Del resto, se in altri Paesi si guadagna molto di più, è difficile trattenere in italia gli specialisti che ci servono». C’è da dire che non si tratta solo di una questione di stipendi: «È anche e soprattutto una questione di motivazione e di organizzazione. È fondamentale lavorare da subito con gli specializzandi, che sono dottori a tutti gli effetti, e fare in modo che partecipino a concorsi per contratti a tempo determinato, con la possibilità che diventino a tempo indeterminato dopo il diploma specialistico: ci sono emendamenti nel Pnrr approvato alla Camera che lo consentono subito. Lavorare insieme agli specializzandi, fra l’altro, comporta un vantaggio formativo anche per i loro tutor, perché l’entusiasmo dei giovani e la loro propensione alle attività digitali li rende una risorsa preziosa per i colleghi più anziani».
Quindi l’impressione è che ci siano soluzioni alla portata: «Naturalmente – aggiunge Remuzzi – va operata un’adeguata suddivisione del numero di borse tra le varie specialità mediche per evitare che continui a esserci un eccesso di specialisti dove non servono e carenze in altri. Altra cosa fondamentale è far diventare tutti gli ospedali poli di ricerca. La ricerca è un forte fattore di attrazione, anche per medici che arrivano dall’estero. In un reparto con queste caratteristiche di recente per un posto si sono presentati 35 candidati. È un tema culturale, bisogna essere capaci di creare una squadra». Altro tema ben conosciuto da anni: la ricerca rappresenta un tema strategico, un polo attorno al quale costruire il rilancio della medicina made in Italy.

BaNNER
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