«Nelle mie fotografie vivo momenti mistici di pura bellezza»

Abbiamo seguito Carlo Verdone impegnato nella presentazione della sua mostra “Luci nel silenzio”, al Polo del ’900 di Torino fino al 14 aprile: «Una leggera malinconia»

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Un omaggio a To­rino, una dedica a suo padre, il ricordo dell’incontro con Yoko Ono e dell’acquisto di un suo quadro, ma soprattutto una dichiarazione d’amore alla fotografia: uno spazio che rappresenta la «sua vena malinconica e contemplativa, una passione se­ria, una forma di preghiera spirituale». Carlo Verdone, ospite del Glocal Film Fe­stival, ha inaugurato al Polo del ‘900 la sua mostra fotografica “Luci nel silenzio”, visitabile fino al 14 aprile. Si tratta di un’esposizione che racchiude una serie di scatti realizzati negli anni dallo stesso regista e attore romano a nuvole, albe e tramonti. «Le foto non erano pensate per es­sere esposte, è stata Elisa­betta Sgarbi a convincermi. Queste immagini giacevano in un hard disk che si andava sempre più arricchendo».
Il suo racconto è un flusso nel tempo e procede come a mettere a fuoco i concetti: «Non sapevo giudicare quello che stavo facendo. Per me quelle fotografie erano qualcosa che piaceva a me, appartenevano a me, erano una radiografia della mia anima. Io ho il ta­lento della commedia, della recitazione, dell’ironia, lo sguardo divertito verso la società, però c’è anche una parte in me che è molto intima, dedita allo stupore, a una leggera malinconia, sempre con un pizzico di profondità. C’è una parte spirituale che mi appartiene. E quindi queste fotografie sono dei mo­menti di stupore che ho dovuto cogliere e fermare nel tempo. Non c’è niente di statico in queste fotografie, perché le nuvole, a modo loro, regalano del movimento».
E anche i pensieri di Verdone si muovono nello spazio e nel tempo, tornando ai ricordi d’infanzia a Torino: «Con mio padre andavo spesso al Mu­seo del Cinema a trovare la fondatrice Adriana Prolo, che era una sua amica. Capivo come era nato il cinema, le prime lanterne magiche, per me sono stati anni molto formativi. Devo molto a mio pa­dre, che è stato un grande educatore, di quelli che insegnano sempre anche in silenzio, con la disciplina e il modo di lavorare. Quindi sono mol­to legato a Torino, ho esordito come attore nel 1978, ho continuato nel 2012 con la regia di “Ce­nerentola” in mon­­do­vi­sione».
Cinema, fotografia, finzione e realtà. A volte è tutto racchiuso in un attimo che aspetta solo di essere colto. «Foto­gra­fare per me è un momento molto mistico perché, quando scatto, non voglio mai nessuno accanto a me, devo stare da solo in campagna o sul mio terrazzo a Roma che è molto in alto. I luoghi che mi piacciono in maniera particolare sono quelli dove non c’è gen­te e posso contemplare ciò che accade. Secondo me la bravura è del Padre Eterno, che mi dà la possibilità di ve­dere i colori, i tramonti, e queste composizioni strane. For­se il mio talento sta, invece, nella rapidità dell’esecuzione, nel capire che è un momento buono».
Per i suoi scatti, Verdone trae ispirazione sia dall’arte pittorica – a partire dalle opere del futurista e divisionista Luigi Russolo fino a quelle di Tie­polo, Monet, Turner e Con­stable – sia dalla musica, in particolare dalle composizioni strumentali elettroniche di Brian Eno, Philip Glass, Da­vid Sylvian e Robert Fripp, suoni che lo riportano alla contemplazione, allo stupore silenzioso del cielo. «Il mi­glior momento per fotografare sono le mezze stagioni, l’estate non mi ha mai stimolato minimamente perché la luce è molto piatta e non c’è movimento». Il segreto, in un mondo sempre più distratto e ipertecnologico, «è quello di avere occhio per una buona inquadratura. Non faccio al­tro che immergermi in questa preghiera spirituale. Purtrop­po, siamo sempre più distratti e non ci fermiamo, non abbiamo neanche più tempo di ave­re questi momenti per apprezzare la bellezza. Siamo tutti chini sul cellulare, la gente mentre cammina non guarda davanti, si guarda in mano, siamo una società ne­vrotizzata. Io voglio prendermi questi spazi per me e per fare le cose che mi piacciono».
Il regista è un fiume di aneddoti, di racconti, dal quadro com­prato a Yoko Ono dopo anni di insistenza, alla sua vittoria a un festival cinematografico di Tokio per un mediometraggio degli esordi che è stato poi perso dalla Rai. Salti, balzi temporali, suggestioni musicali, gli anni delle sperimentazioni cinematografiche, del Centro Sperimentale di Cinematogra­fia, diretto da Roberto Ros­sellini. Anni di libri, di quadri che esplodevano nelle pareti, di suggestioni, di viaggi e di grandi incontri. Racconti di quotidianità con tre macchine fotografiche per fare «al massimo uno o due scatti perché poi quel mo­mento lì è già passato».
E proprio ai ricordi è dedicata la parte finale dell’incontro. Un paesaggio che ha colpito l’attore e dove vorrebbe tornare è la Cornovaglia. «Qui ho fatto delle bellissime fotografie perché ci sono tutte le caratteristiche che piacciono a me: la mutevolezza del tempo, la violenza dalla natura, perché il mare è sempre molto alto o è piatto per tre, quattro ore, e poi improvvisamente si gonfia e diventa devastante».
Durante la serata è stato consegnato a Verdone il premio Bosca Viaggio in Piemonte, un riconoscimento che ha debuttato al Glocal Film Festival 2024. Ideato dall’Associazio­ne Piemonte Mo­vie in collaborazione con l’azienda vitivinicola Bosca di Canelli e con la Film Commission Torino Pie­monte, sarà assegnato annualmente a quei professionisti del cinema che, pur non essendo originari del Piemonte, abbiano mantenuto un profondo legame personale o professionale con la regione.
La giornata “verdoniana” è proseguita quindi al cinema Massimo, dove il Museo Nazionale del Cinema ha assegnato all’attore e regista il proprio riconoscimento più im­portante: il premio Stella della Mole. Infanzia e presente che si guardano, da via Montebello a via Mon­tebello, un lungo viaggio che non si è mai interrotto.

Articolo a cura di Daniele Vaira