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«Piccola Casa, un rifugio per chi è rimasto solo o ha disabilità»

Suor Marta Marini è la direttrice della struttura albese che ha appena riaperto l’ala rimasta chiusa per mancanza di personale

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Tra le nuove emergenze c’è la solitudine e alcuni anziani, ancora autosufficienti, scelgono di lasciare casa loro per poter trascorrere le giornate in compagnia. Ad Alba, aprirà nelle prossime settimane l’ala della Pic­cola Casa della Divina Prov­videnza “Cot­tolengo”, in via Vernazza 10, che ultimamente è stata chiusa per la carenza di personale. «In tutto il territorio, le strutture come la nostra faticano a trovare operatori socio sanitari – spiega suor Marta Marini, direttrice -. Adesso siamo riusciti a potenziare l’organico e possiamo accogliere nuovi ospiti negli spazi che, per ora, sono rimasti chiusi».

Continua così la storia di quello che, per Alba e non solo, è un punto di riferimento dell’assistenza sociale. La Piccola Casa ospita anziani e disabili e ha alle sue spalle una storia di quasi 140 anni. Era il 1886 quando, per iniziativa del banchiere torinese Timoteo Ceva, diventato sacerdote cottolenghino, fu avviata. Il 17 novembre 1888 arrivarono in città le prime tre suore e i primi dodici letti in ferro per la Casa. Nel 2019 sono terminati alcuni importanti lavori di ristrutturazione, che hanno ammodernato gli ambienti, attrezzati per accogliere fino a novantanove utenti alla volta.

Direttrice, le esigenze a cui dare risposta oggi sono le stesse di un tempo?
«Continuiamo a lavorare con gli anziani e le persone disabili, ma il contesto sociale è cambiato notevolmente. Pen­so soprattutto alle disabilità. Fino a qualche decennio fa, le famiglie con un figlio disabile facevano di tutto per tenerlo nascosto. Non per forza era vergogna o scarsa sensibilità: la cultura era un’altra, molti avevano poca consapevolezza. Oggi non è più così, quindi anche i nostri utenti hanno profili diversi».

Chi sono le persone che ospitate alla Piccola Casa?
«Tra gli anziani, non ci sono solo persone non più autosufficienti. Con la pandemia, molte hanno perso i loro legami sociali e iniziato a soffrire la solitudine. Per questo, hanno scelto di entrare in struttura anche se sono ancora in grado di badare da soli a loro stessi. Qui sono circondati da altre persone, possono sempre stare in compagnia, e questo gli fa piacere».

E le persone con disabilità?
«Salvo poche eccezioni, non sono più ragazzi giovani come una volta. Ospitiamo soprattutto adulti che, per molti anni, hanno vissuto in famiglia e sono stati assistiti dai genitori o da altri parenti. Ora che questi sono invecchiati, faticano a stargli dietro. Anche perché, per fortuna, grazie ai progressi della medicina, l’età media si sta allungando sempre di più».

Molte residenze come la vostra stanno faticando a fare fronte all’inflazione, con costi sempre più alti. Soffrite anche voi questa situazione?

«I costi sono aumentati anche per noi. Ci sforziamo sempre di mantenere le tariffe in media con quelle delle altre strutture. Abbiamo diversi posti in convenzione con il sistema sanitario, grazie a cui gli ospiti possono accedere a tariffe differenziate in base alle condizioni economiche delle loro famiglie».

Quanto è importante l’impegno dei volontari per una realtà come la vostra?
«Sono più di sessanta e aiutano gli oltre sessanta operatori che, a vario titolo, lavorano nella nostra struttura. Tutti loro prestano un servizio preziosissimo. È un modo nobile di mettersi a disposizione degli altri, incontrare il prossimo e sostenerlo».

Che ruolo ricopre la Fede nelle vostre attività?
«La Fede è anche relazione. Qui facciamo sempre molto attenzione alle relazioni con tutte le persone che gravitano intorno alla struttura. Faccia­mo il possibile per garantire ai lavoratori un minutaggio superiore rispetto a quanto servirebbe per svolgere le loro attività. In questo modo, possono dedicare tempo al dialogo e alla cura delle relazioni, anche con i familiari degli ospiti. Chi vive con noi, non deve solo andare avanti negli anni, ma avere qualità di vita negli anni che gli restano da vivere».

In merito alle disabilità, quanti passi in avanti ha fatto la società rispetto al passato?

«Molti, ma ne restano tanti ancora da fare. Oggi le disabilità sono meno un tabù, ma quelle mentali continuano a spaventare e, a volte, a essere nascoste o ignorate».

Le famiglie sono sempre meno numerose e l’età media si allunga sempre di più. Il mondo dell’assistenza sociale, in futuro, dovrà dare risposte a nuove esigenze legate a questa situazione.
«È una questione presente, non solo futura. Per i familiari, è sempre più difficile occuparsi in casa delle persone anziane, che vivono sempre più a lungo. La Piccola Casa si è sempre impegnata per individuare e dare risposta alle nuove esigenze. Questa è una di quelle della contemporaneità».

Il legame con il territorio è una costante della vostra attività. Qual è la relazione tra l’Albese e la Piccola Casa?

«Riceviamo supporto costante, a più livelli: dalla cittadinanza, dalle istituzioni, dalle aziende sanitarie. Ne siamo orgogliosi, grati e soddisfatti. Sono buone premesse per continuare a lavorare bene in futuro».

Articolo a cura di Luca Ronco

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