Un secolo al potere

Scomparso a cento anni Henry Kissinger, si conosce tutto del personaggio pubblico: pochi sanno però che amava il cibo tedesco, che era stato un bimbo timido e che una volta entrò nello spogliatoio della Juve

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Henry Kissinger si è spento a cent’anni, nella sua casa in Con­necticut, e l’America – parole di George W. Bush – «ha perso una delle voci più affidabili e significative in materia di affari esteri». Possiamo partire proprio dai ricordi per capire lo spessore del personaggio, perché questo dell’ex presidente statunitense è solo un esempio: dalla premier italiana Giorgia Meloni («Riferimento della politica strategica e della diplomazia mondiali») al cancelliere tedesco Olaf Scholz («Ha plasmato la politica estera come pochi altri») è un fiorire di conferme al potere senza pari esercitato non soltanto negli anni Settanta durante le presidenze Nixon e Ford, ma anche nei decenni successivi in qualità di consulente e scrittore così stimato e ascoltato da influire a lungo sulla conduzione statunitense degli affari globali e da offrire consigli e analisi, perfino avventurarsi in profezie, su rapporti delicati e conflitti internazionali: negli ultimi interventi – è stato fino all’ultimo lucidissimo – ha affrontato le questioni ucraine e israeliane e solo a luglio un viaggio in Cina ha lasciato immaginare una missione per conto di Biden, indiscrezione smentita ma mai sradicata. A volte attento a limare asperità mondiali – pioniere della distensione con l’Urss, primattore per risolvere il conflitto in Vietnam -, altre personaggio oscuro, spietato e cinico quindi a volte avversato, accusato di aver teso la mano a dittatori e favorito interventi militari. Lui sapeva semplicemente di muoversi su territori scoscesi e ben conosceva il prezzo di talune responsabilità: «Uno statista non può scegliere tra il bene e il male: solo tra diversi gradi di male».
Del soggetto pubblico sappiamo molto: burbero e autoritario, potente e mondano, curioso e machiavellico. Possiamo integrare con qualche nota intima, qualche aneddoto sfuggito ai ritratti ovviamente incentrati su mansioni e missioni: l’eminenza grigia degli States era stato un bambino timido, adorava bratwurst e Wiener schnitzel, l’insaccato di carne suina e bovina e la cotoletta fritta nello strutto, alimenti tipici della Germania dov’era nato, lavorava quindici ore al giorno, era amico di Gianni Agnelli con il quale seguiva talvolta la Juventus. Una volta scese con lui anche nello spogliatoio e – ha raccontato Jas Gawronski, ex corrispondente – «fu una scena abbastanza bizzarra vederlo in giacca e cravatta, sempre elegantissimo, in mezzo a quei ragazzi mezzi nudi, in mutande, con l’allenatore disperato perché tra Agnelli e Kissinger la loro tensione era completamente sfumata». Aggiungiamo che il grande tessitore, dai rapporti con la Cina al disgelo con l’Urss, lo fu anche per portare i Mondiali di calcio in America. Amore per lo sport, certo, ma anche, da buon politico, fascino della forza trainante del pallone: «Soltanto lo sbarco in diretta di un’astronave extraterrestre carica di omini verdi potrebbe convincere tata a gente a riunirsi contemporaneamente davanti a un televisore per due ore». Altra frase storica: «Il potere è l’afrodisiaco supremo».
Ora è tempo di ricordi, racconti, commozione. E di eredità morali. «Ma a me – aveva risposto uno studente – cosa rimarrà delle mie azioni non importa: mi interessa solo essermi mosso ubbidendo sempre ai miei principi».