«Noi di Intonando cantiamo il bello di mettersi in gioco»

Il direttore della corale albese, Franco Biglino:  «Il concerto del 10 dicembre un omaggio a Mozart»

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“Aspettando Natale” è uno degli eventi più attesi delle festività albesi. Quest’anno la rassegna musicale organizzata dall’associazione Intonando festeggia il trentanovesimo compleanno. E lo fa proponendo un’edizione an­co­ra più ricca e di valore, di cui Rivista IDEA è media partner: l’apertura sarà domenica 10 dicembre, alle 21, nella Chie­sa di San Do­menico, ad Alba, dove co­ro e orchestra del sodalizio eseguiranno i “Ve­spe­rae so­len­­nes de Con­fessore-Kv 339” di Wolfgang Amadeus Mozart (ingresso gratuito). Ne abbiamo parlato con il direttore della corale, Franco Biglino.

Trentanove edizioni iniziano a essere tante. Cosa prova?
«Parecchia soddisfazione, so­prattutto pensando al fatto che è partito tutto quasi quarant’anni fa dalla comune passione che noi, all’epoca dei ragazzi, avevamo per la musica».

La vostra passione ha poi con­tagiato tanti altri.
«È vero. Oggi siamo arrivati ad essere una realtà strutturata, forte di una quarantina di persone, che organizza diverse iniziative, a partire, ap­punto, da “Aspettando Na­ta­le”, che compie 39 anni».

L’aspetto che le dà più gioia?
«Oggi abbiamo un coro polifonico e uno giovanile ed è fantastico vedere come i ra­gazzi che partecipano ab­biano la stessa passione che avevamo noi qualche decennio fa e che, come dicevo, ab­biamo ancora. La radice, i va­lori sono rimasti gli stessi».

Qualcosa è cambiato?
«Le modalità, il contesto. Per questo, volendo insegnare ai ragazzini, è inevitabile conoscere il loro linguaggio, quello dei social, le trasmissioni che si occupano oggi di musica, come X Factor, ad esempio».

Cos’è per lei la musica?
«È quell’arte che riesce a tirare fuori qualcosa di importante da ciascuno di noi. E il canto, nello specifico, è un modo per mettersi allo specchio, per mettersi a nudo con sé stessi, per confrontarsi con una parte nascosta di noi. È un percorso sempre affascinante da esplorare».

Avete dunque anche un’importante funzione sociale.
«Sì. Quasi più oggi rispetto agli anni Ottanta».

Perché?
«Perché il canto, a patto che non diventi omologazione, è il risultato di una ricerca individuale, di uno sviluppo personale che ha come obiettivo quello di servire un collettivo. La pandemia, in questo senso, ha reso ancora più forte questo desiderio di mettersi a disposizione di un gruppo».

Cosa restituisce questa esperienza collettiva?
«Ciascuno dona qualcosa di sé all’altro. In maniera reciproca e gratuita. Non è per nulla un fatto banale, specie se si pensa che ciò avviene anche in occasione dei concerti, quando cioè di fronte a noi ci sono anche trecento persone».

Come vi preparate?
«La nostra “sede” è la sala prove presso il Santuario della Natività, nel quartiere Mussotto. È qui che ci confrontiamo con autentici mo­stri sacri della musica classica, come Handel e Vivaldi. E quest’anno, grande protagonista della 39esima edizione, ci siamo dedicati pure a Mozart. Ognuno si prepara individualmente a casa propria e quando siamo insieme… cantiamo».

Quali requisiti sono richiesti? Occorre avere qualità canore spiccate?
«Assolutamente no: l’unico requisito indispensabile è la voglia di mettersi in gioco e, chiaramente, avere un po’ di tempo per prove e concerti. Ma ne vale davvero la pena: si finisce catapultati in un’altra dimensione».

Cosa accade in questo “viaggio” ultradimensionale?
«Cantando si ascolta e si percepisce il proprio corpo in maniera unica. È un percorso attraverso il quale ci mettiamo in relazione con noi stessi e, ovviamente, con gli altri. Ecco perché ciascuno può esprimersi pienamente».

Quindi non tutti devono cantare allo stesso modo?
«In Italia effettivamente si tende spesso a omologare le varie voci. Noi di Intonando preferiamo adottare l’approccio diffuso nel Nord e nel Cen­tro Europa, che mira a va­lorizzare le diversità».

La corale è anche un’associazione: l’associazione Into­nan­do, una realtà attiva ben ol­tre la musica.
«Negli anni, il nostro gruppo musicale ha assunto i tratti di una realtà culturale. Si tratta di una sorta di evoluzione partita dalla nostra volontà iniziale di creare delle possibilità. In questo contesto, è nato il festival Profondo Umano».

Sarà felice di tale evoluzione.
«Molto. È un risultato che mi regala tantissima soddisfazione. È un sogno realizzato».

Un punto di arrivo o un nuovo punto di partenza?
«Sicuramente la seconda. Non ci aspettavamo certamente di arrivare fin qui, ma il nostro desiderio di accompagnare le persone nella loro crescita resta immutato. Quindi, l’augurio è di continuare ad avere le energie e le disponibilità economiche per poter portare avanti progetti come Pro­fon­do Umano».

Ora non resta che partecipare ad “Aspettando Natale”.
«Sì, un nuovo tassello della nostra esperienza con la mu­sica classica. Una nuova occasione per noi, dilettanti, di interpretare dei capolavori universali. Del resto, siamo tutti convinti di una cosa: il bello, in questo mondo, non è mai abbastanza».