«Con i mattoncini Lego serious play apro nuovi mondi»

Per Kristiansen ad Alba per l’Ecomaratona e una missione: «Il business passa dal gioco»

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Tra i partecipanti al­la recente Ecoma­ra­­to­na del Barbare­sco e del Tartufo Bianco ce n’era uno speciale: Per Kristiansen. E non tanto perché per partecipare alla corsa sulle colline delle Lan­ghe è arrivato dalla Dani­marca. Neanche perché ad accompagnarlo (oltre al fratello) c’era suo figlio, che sempre di più sta condividendo la stessa passione per le maratone. Il motivo per cui Per deve essere considerato un personaggio speciale riguarda il suo lavoro: seguendo la definizione della sua società, Trivium, possiamo identificarlo come un “consulente esperto nella creazione di business con il metodo Lego Serious Play”. Proprio così, parliamo dei mattoncini colorati famosi in tutto il mondo. Ci giocano i bimbi ma non solo, in questo caso si tratta di una questione molto seria: «È un metodo sviluppato 22 anni fa – spiega Kristiansen – e che ha portato alla creazione di uno spin-off della Lego che se ne occupa direttamente. È una strategia che mira a sbloccare un po­tenziale che altrimenti rimarrebbe inespresso. Tutti lavorano con l’idea di fare bene, ma non sempre riescono a trovare le parole per dirlo. Con questo percorso acquisiscono una voce».

Ci spiega come funziona?
«Con i Lego i bambini costruiscono la loro realtà e il concetto vale anche per gli adulti: i mattoncini sono una metafora. Questo permette di ri­spondere anche alle domande più difficili come ad esempio: chi sei?».

E nelle costruzioni si trova la risposta?

«Sì perché quello scenario che realizziamo dice appunto chi siamo, chi vorremmo essere, chi sono i nostri antagonisti, la concorrenza. Così, sul pia­no del business, emerge an­che che cosa manca all’azienda in questione, quali valori».

La forza dei Lego?
«Quando si esegue manualmente un lavoro, si attivano diverse parti del cervello. Creare uno scenario con i mattoncini colorati aiuta a pensare. E poi a condividere quella visione».

Una sorta di riunione di lavoro?
«Esattamente, al centro del tavolo però ci sono le costruzioni. Ognuno dei partecipanti ne ha creata una, ma la riunione si conclude con una sintesi: si crea un’unica struttura, un paesaggio che unisce tutte le creazioni e in qualche modo le comprende, le sintetizza. Se vedete, nelle immagini, ci sono quei fili che appunto collegano tutti i lavori».

Un metodo che si può applicare con diverse modalità?
«Può essere utile per valutare scenari reali. Ad esempio, mettiamo che crolli la borsa: quali le conseguenze possibili? E così via».

E si “gioca” a tutte le età?
«Questo metodo è adatto a partire dai 15 anni, da quando cioè si cominciano a capire ed elaborare le metafore. Ma è molto efficace anche con i giovani».

Ci sono aziende delle Langhe che hanno aderito?
«Ho qualche discorso avviato, altri progetti già realizzati a Milano e in Veneto, uno con una ditta che realizza forni per le pizze».

Sembra un tipico strumento da “team building”.
«Lo è, ma non solo. Può essere molto utile per le start-up, così come per il recruiting o in casi di problem solving».

In Italia il vostro lavoro è pienamente compreso come già accade in altre zone del mondo o c’è più diffidenza?
«Ho molti amici italiani che pensano di avere una mentalità chiusa per proposte innovative come questa, invece siete molto aperti. E vedo un’applicazione del nostro metodo molto interessante per le aziende a gestione famigliare che cambiano impostazione dalla prima alla seconda generazione».

Il Lego Serious Play potrebbe essere utile anche in politica?
«Potrebbe certamente, ma i politici credono sia troppo “playful”. Non capiscono che invece, come abbiamo verificato, evidenzia il valore. È stato utilizzato anche in Centro Africa per alcune ne­goziazioni di pace: è un linguaggio rispettoso che crea uno spazio di sicurezza. In questi workshop si supera anche il problema della lingua».

Come nasce la sua passione per le Langhe?
«Mi è sempre piaciuto il vino, fin da ragazzo, così prima dell’università nel mio anno sabbatico ho lavorato in questo settore in Danimarca e poi all’estero: sono stato a Ca­stiglione Falletto da Caval­lotto e ci sono tornato d’estate più di una volta, poi anche da Ratti. Ho tanti amici con cui sono rimasto in contatto e che rivedo appena posso».

Come ha cominciato questo lavoro?
«Ero alla Lego a New York nel 2001 dopo gli studi in Eco­nomia, assieme a Robert Ra­smussen, l’ideatore di Lego Serious Play. Lì dopo il dramma delle torri gemelle, è cominciato tutto. Abbiamo scritto anche un libro, c’è la versione italiana».