«Come papà Gigi salgo sul palco e cerco la verità»

Il 2 novembre è l’anniversario di nascita e morte del grande Proietti: lo ricordiamo con l’intervista alla figlia Carlotta

0
1

Buon compleanno, Gigi! A chi mai po­teva succedere di nascere e morire lo stesso giorno che guarda caso è il Giorno dei Morti? Beffata alla nascita, la Vecchia Si­gnora, e pure alla morte, che non sarà certo lei la protagonista delle celebrazioni. Oggi (giovedì 2) il teatro (e non so­lo) ricorda un fuoriclasse che è stato amato da tutti. Col­le­ghi, allievi, assidui e meno assidui di cinema, teatro e tv. Provate a chiedere al primo Carneade che incontrate per strada se non ha amato Proietti. Impossibile. Ma se ne avete nostalgia, visto che ne avrete, di nostalgia, fatevi un giro su You­Tube, digitate “Proietti Ninna nanna della guerra Trilussa” e godetevi tre minuti di pura emozione. Quell’emozione che ti fa salire il cuore in gola. Fidatevi. Intanto cediamo la parola alla figlia Carlotta, che in qualche modo ha seguito le orme.

Carlotta, come festeggiavate il suo compleanno?

«Dipendeva molto dalle tournée, ma c’è stato un periodo in cui si festeggiava insieme a Vincenzo Cerami, di cui era tanto amico e che era nato lo stesso giorno. Si faceva la festa degli Scorpioni, perché anche mia madre è una Scor­pio­ne. La nostra casa è sempre stata frequentata da belle persone e le riunioni di amici erano spesso legate alla tavola, visto che mam­ma è un’ottima cuoca».

Sua mamma, Sagitta Alter, è svedese. Come se la cava con carbonara e amatriciana?

«Se la cava benissimo con la cu­cina romana, anche se tie­ne a mantenere vive certe tradizioni svedesi, come la festa del 6 gennaio, in cui si balla intorno all’albero prima che venga disfatto».

La narrazione mediatica vuo­le che anche Proietti fosse un bravo cuoco…
«Temevamo quando si lanciava in imprese ai fornelli. Le dico solo che una volta si era intestardito a fare la pizza e il risultato fu disastroso».

Quando ha capito di essere la figlia di Gigi Proietti?

«Presto. Già da piccole sia io sia mia sorella ci rendevamo conto che le no­­stre abitudini erano diverse da quelle dei nostri compagni: si andava spesso a teatro, ci fotografavano con papà».

E questo la imbarazzava?
«No, io avevo il mito di papà, lo portavo in giro come un trofeo».

Se non fosse stata figlia di Proietti avrebbe scelto lo stes­so di fare l’attrice?
«Chi lo sa! Il mio è un percorso bizzarro. Prima di fare l’attrice studiavo musica e scrivevo canzoni. Poi una volta pa­pà, in tempi non sospetti, mi disse: “Tu puoi fare l’attrice”».

Da cantante, peraltro, è intervenuta in spettacoli importanti, come “Una serata con Gigi Proietti”, a Caracalla, e “Ca­­val­li di battaglia”.
«Infatti, la mia intenzione era cantare, non avevo immaginato di recitare. Poi sono stata contagiata da questa “malattia” e adesso sono felice tutte le volte che posso cantare e recitare».

Da professionista non ha mai avvertito il peso di un’eredità così importante oppure la pre­senza di suo padre è stata solo e sempre stimolante?
«Stimolante, sempre. Il peso l’ho avvertito a tratti, ma non per volontà sua. Poi è chiaro che essendo figlia sua ti ritrovi da­vanti ai riflettori, osservata sen­za filtri, pur senza fa­re nulla. Ma lui rendeva tutto possibile, avevamo le strade aperte da parte di entrambi i genitori».

Che suggerimenti le dava?

«Ci confrontavamo molto sui singoli progetti ed è una delle cose che mi mancano di più. Sul palcoscenico i consigli era­no “a togliere” e mi faceva notare qualcosa a cui in quel mo­mento non stavo pensando: non muovere troppo le mani, ricordati che quando entri in scena modifichi lo spazio. Sem­bra una cosa ov­via, ma ap­plicarla su sé stessi significa ac­quisire consapevolezza».

Sua sorella Susanna è costumista e scenografa: com’è il vostro rapporto?

«Siamo molto legate e molto diverse. Mia madre dice che siamo come il giorno e la not­te. Ma forse proprio questo ci permette di andare d’accordo. La­vo­riamo insieme occupandoci di cose diverse».

E ora una nota dolente: il Glo­be Theatre e le sue sorti. Il teatro fondato da Proietti nel 2003, sede di affollatissime stagioni estive nel segno di Sha­ke­speare, chiuso ormai da oltre un anno a causa del crollo di una scala, messo sot­to se­questro e ora a ri­schio de­molizione. Io pen­so che se fosse vivo Proietti nessuno si sarebbe permesso di minacciare l’abbattimento.
«Purtroppo, temo che sarebbe stata la stessa cosa. Però la no­tizia della demolizione è stata smentita e, durante una convocazione ufficiale in Campi­do­glio, l’Amministrazione ca­pi­tolina ha manifestato il totale appoggio. Noi, da parte nostra, abbiamo chiesto di poter far fare una perizia per verificarne le reali condizioni».

Non le chiedo i dettagli ma qual è, al momento, la preoccupazione maggiore?
«Dopo l’incidente per il crollo della scala, la mia preoccupazione più grande sarebbe l’abbandono. Lo dico per assurdo, ma l’abbandono sarebbe più doloroso della demolizione».

Emila nell’“Otello”, Ermione de “Il racconto d’Inverno”, Le Beau in “Come vi piace”. Al­cu­ni ruoli interpretati al Glo­be. Com’è il suo approccio con la lingua shakespeariana?
«Una volta, una compagnia di attori inglesi ci ha detto: “Sie­te fortunati voi a recitare Sha­ke­speare in italiano”. Io amo leggere Shakespeare con il testo originale a fronte e, se il caso, mettere mano alla tra­du­zione. Con Lo­redana Scara­mella (regista e per molti anni assistente di Pro­ietti, nda), che in quanto a puntiglio è peggio di me, se abbiamo un dubbio o una curiosità, an­diamo a controllare l’originale».

Però ha anche affrontato la dram­maturgia contemporanea: penso a “The Prudes” di An­tho­ny Neilson diretto da Gian­luigi Fogacci, in scena con lei, ma anche a “Intra­muros” di Alexis Michalik, che affronta il rapporto tra carcere e teatro, in tournée quest’anno, sempre insieme a Fogacci e diretti da Virginia Acqua.
«La drammaturgia contemporanea mi interessa tantissimo, leg­go molti autori francesi e inglesi e non mi accontento. In scena cerco la verità che mi avvicina al pubblico. Mi piace l’idea di poter spaziare, sperimentare»

Per questo si occupa anche di produzione?

«Papà ha sempre insistito perché conoscessimo la macchina produttiva, ma io all’inizio ero piuttosto restia. Oggi invece riconosco che mi permette di rendermi conto del mio lavoro in toto e mi appassiona sempre di più».

Una creatura a cui tiene particolarmente?

«Tutte. In ordine di tempo vi sug­gerisco la ripresa di “Pippi­cal­­ze­lunghe. Il musical”, al Tea­tro Alfieri di Torino, dal 30 no­vembre al 3 dicembre».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco