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L’opinione di Federico Faggin

«Un robot non potrà mai essere come noi. Dobbiamo difendere la nostra natura spirituale, tra coscienza e realtà c’è una relazione»

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IL FATTO
L’intelligenza artificiale è qualcosa che si affaccia nelle nostre vite e ci spinge a nuove domande. Ad esempio: le macchine del futuro avranno una loro coscienza?

Di lui, Bill Gates ha detto: «Prima che arrivasse qui, la Silicon Valley era semplicemente la Valley», un gran bel complimento per Federico Faggin, il fisico visionario che a Palo Alto, in California, direttamente da Isola Vicentina, ha progettato il primo microprocessore commerciale e la tecnologia touchscreen, fino a quella nuova realtà che chiamiamo “intelligenza artificiale”. Innovazioni di portata epocale per un personaggio non convenzionale.
Del resto, il padre di Federico Faggin era filosofo e lui stesso viene spesso definito “filosofo quantistico”, per dire dell’approccio che lo caratterizza nelle questioni scientifiche. Da sempre indaga sul funzionamento del cervello umano, cercando di risolvere il problema della replicabilità dell’esperienza cosciente: «Beethoven quando scrisse la quarta sinfonia, trasformò i suoi sentimenti in bit, la musica. Noi siamo in grado di ascoltare quei bit ma quali sentimenti provava Beethoven mentre ha composto la sinfonia? Impossibile saperlo». E sull’intelligenza artificiale: «Un robot non potrà mai essere come noi, è solo una rappresentazione simbolica, fa quello che gli diciamo di fare».
Ma c’è un punto molto importante sul quale Faggin insiste. «Lo scienziato pensa che prima venga la matematica e poi il resto, io invece dico no. Prima viene la conoscenza e il libero arbitrio della coscienza, che sono fenomeni creativi. Siamo noi che creiamo la matematica e gli algoritmi», spiega Faggin. Che a proposito della visione cartesiana («io penso quindi sono»), aggiunge: «Quello che non condivido della visione cartesiana è che ci sia un dualismo tra mente e materia, come se fossero due aspetti indipendenti della realtà. Nella mia teoria esiste il mondo interiore dell’esperienza cosciente, privata e semantica e il mondo esteriore della realtà simbolica, pubblica e condivisa. Le due realtà sono interdipendenti». Siamo un tutt’uno, sottolinea il fisico. Ciò che è intorno a noi è anche dentro di noi. E ancora, a proposito dell’Intelligenza artificiale, ecco l’allarme: «In certi ambienti non si parla mai di cuore, empatia, coraggio, compassione, è tutto solo razionalità, ma siamo folli? Dobbiamo buttar via i valori umani e la nostra natura spirituale per far piacere a chi vuole metterci in gabbia con i loro strumenti?».
Infine un passaggio tratto dal suo ultimo libro “Irriducibile”: «Era il 26 settembre 1983, in piena guerra fredda, il mondo si salvò dal disastro nucleare grazie al tenente colonello Petrov che non si fidò dei dati che annunciavano l’imminente attacco di missili atomici lanciati dagli Usa contro l’Unione Sovietica. Petrov capì che era un errore e non comunicò l’informazione ai superiori. Cosa sarebbe successo se al suo posto ci fosse stato un militare addestrato ad obbedire senza discutere? O peggio ancora, se ci fosse stato un robot? Sottovalutiamo troppo spesso l’intelligenza umana». Sembra un paradosso, detto da uno scienziato, ma sembra davvero il caso di approfondire.

BaNNER
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