Prigioniero di coscienza

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epa09629626 Egyptian Christian rights activist Patrick Zaki poses after he was released from the prison in his sister's house in Mansoura, Egypt, 08 December 2021. An Egyptian court ordered the release of Patrick Zaki from prison, pending his trial on 01 February 2022. Zaki, an Egyptian student and researcher at the University of Bologna, was arrested upon arrival on 07 February 2020 at Cairo international airport returning from Italy to Egypt for a family visit. EPA/STRINGER

Patrick Zaki è libero. Ha ottenuto la grazia. L’amarezza della condanna a tre anni, inflitta dal tribunale di Mansura, diventa, nello spazio di poche ore, gioia per il provvedimento di Al Sisi. Finisce così un lungo intrigo politico-giudiziario, un impasto di sospetti e di tensioni che ha coinvolto Italia ed Egitto.
Zaki è un giovane ricercatore egiziano che svolge un master all’università di Bologna, arrestato il 7 febbraio 2020 all’aeroporto del Cairo, appena atterrato per trascorrere una breve vacanza in famiglia. Per ventiquattr’ore nessuno sa nulla, legali e attivisti denunciano però torture e minacce legate alla sua difesa dei diritti Lgbt, il giorno dopo viene formalizzato l’arresto con l’accusa di istigazione a violenza, proteste e terrorismo e di gestire un account social che mina la sicurezza pubblica. A Bologna, dov’è amato e conosciuto, organizzano subito una manifestazione, la Farnesina comincia a seguire il caso e il Parlamento europeo chiede il rilascio. Commuove l’appello dei genitori di Giulio Regeni, dottorando italiano all’università di Cambridge torturato e ucciso in circostanze misteriose al Cairo: molti indizi, e i successivi depistaggi, conducono a schegge dei servizi egiziani. Sospesa nel dicembre 2021, la condanna arriva il 18 luglio, subito seguita dal rilascio. Nei lunghi anni di udienze, paure e dolore, Zaki ha conseguito la laurea, ottenuto la cittadinanza onoraria di Bologna, Roma e altre città, confidato d’essere “esausto fisicamente e depresso”, suscitato mobilitazioni e appelli internazionali, trascorso infiniti periodi di solitudine senza nemmeno il conforto delle visite dei familiari.
Appena rilasciato, incontra la madre e manifesta la volontà di tornare in Italia, ma sceglie di farlo senza passerelle politiche, declinando l’invito a utilizzare un volo di Stato. Polemiche immancabili, imbarazzo e rabbia, accuse d’ingratitudine o – altra prospettiva – apprezzamenti per la voglia di normalità, ma lui non ci bada e sale su un volo di linea per Malpensa con la fidanzata Reny e la sorella Marise, alla quale da tempo aveva promesso un viaggio in Italia. A prelevarlo e condurlo a Bologna, la sua professoressa e il rettore dell’università del capoluogo emiliano dove si svolgono una festa popolare spontanea e una cerimonia emozionante alla presenza dei rappresentanti di Amnesty International, che tanto s’era spesa, e del disegnatore che aveva ideato la campagna in suo favore. «Ricomincio da qui» le parole del ragazzo che regala un sorriso a chiunque ne abbia seguito con apprensione la sorte e abbia sofferto immaginandolo nelle carceri egiziane a difendere una verità semplice con l’identica forza con cui ha sempre denunciato ingiustizie. Adesso, però, c’è una verità da cercare: quella di Giulio Regeni. È lo stesso Patrick a invocarla, dopo aver ringraziato le autorità egiziane e italiane, le Ong, la società civile e la Presidente del consiglio e promettendo di lottare ancora, sempre, per i diritti umani. Il portavoce di Amnesty, invece, ringrazia lui «per aver resistito e aver reso possibile la più grande campagna per un prigioniero di coscienza del XXI secolo».