Quale insegnamento ci può lasciare il mese del pride?

In Europa si deve tenere ancora alta l’attenzione per combattere la discriminazione nei confronti delle persone Lgbtiq

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È finito il mese del Pride: a che punto siamo in Unione europea?
L’articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Ue vieta «qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale».
Negli ultimi anni l’Unione europea ha visto realizzarsi graduali passi in avanti verso l’uguaglianza e il rispetto delle persone al di là del loro orientamento sessuale e della loro identità di genere. Tuttavia, le discriminazioni non sono scomparse: le persone appartenenti alla comunità Lgbtqia+ possono essere bersaglio di discorsi di incitamento all’odio e vittime di violenza. Un report Ue del 2019 ha mostrato come il 43% delle persone Lgbtqia+ si sentisse vittima di discriminazioni.
Dal 1999 l’Unione europea ha il potere di agire in materia, e si è adoperata per combattere l’omofobia e la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere e delle caratteristiche sessuali. In particolare, la Commissione europea ha sottoscritto l’obiettivo di dar vita ad una comunità in cui la diversità venga celebrata come parte di un inestimabile patrimonio collettivo, cosicché ognuno possa essere se stesso e amare chi desidera.
Non a caso, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea nello Stato dell’Unione 2020, ha dichiarato: «Non risparmierò le forze quando si tratta di costruire un’Unione dell’uguaglianza. Un’Unione in cui ognuno possa essere se stesso e amare chi desidera, senza paura di recriminazioni o discriminazioni. Perché essere se stessi non è ideologia. È la propria identità. E nessuno potrà mai usurparla».
Dal 2003 nell’Ue è illegale discriminare le persone sul luogo di lavoro sulla base del loro orientamento sessuale. La normativa impone che tutti i paesi membri si sobbarchino la tutela giuridica dei cittadini contro forme di discriminazione legate a una candidatura per un posto di lavoro, una promozione professionale o attività di formazione, oppure in materia di condizioni di lavoro, retribuzione e licenziamento. Inoltre, per muoversi nella direzione di una concreta parità di trattamento delle persone Lgbtqia+ nel mercato del lavoro, nel 2010 l’Ue ha istituito una piattaforma per incoraggiare le imprese, gli enti pubblici e le organizzazioni senza scopo di lucro impegnate a promuovere la diversità e le pari opportunità sul luogo di lavoro.
Per realizzare un vero cambiamento, l’Ue lavora da diversi anni a stretto contatto con i suoi stati membri, responsabili dell’effettiva applicazione e riconoscimento dei diritti. La collaborazione dei paesi e un pieno allineamento alle politiche comunitarie sulla garanzia dei diritti sono, dunque, fondamentali per un concreto cambiamento. Per questo motivo ogni anno la Commissione europea pubblica una relazione per monitorare i progressi compiuti e verifica l’attuazione del diritto dell’Ue, riferendo in merito alle azioni che i paesi membri hanno intrapreso per promuovere l’uguaglianza dal punto di vista dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Inoltre, la Commissione ha il potere, in ultima istanza, di prendere provvedimenti contro un paese dell’Ue che non rispetti il diritto comunitario in materia ed eventualmente adire la Corte di giustizia.
Le organizzazioni della società civile sono uno strumento prezioso per la promozione di cambiamenti: per questo la Commissione europea sostiene le organizzazioni Lgbtqia+ europee e finanzia le organizzazioni a livello nazionale attraverso il programma “Diritti, uguaglianza e cittadinanza” e “Erasmus+”, permettendo alle suddette di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficoltà e la discriminazione cui le persone Lgbt devono far fronte.
Ecco quindi qual è la prima strategia dell’Ue a proposito dei provvedimenti da prendere per difendere l’uguaglianza delle persone Lgbtiq.
Negli ultimi anni la Com­missione europea ha intensificato notevolmente le proprie azioni finalizzate alla promozione di un’Unione dell’uguaglianza per tutti, adottando la prima strategia sull’uguaglianza delle persone Lgbtiq. Tale strategia fissa una serie di obiettivi chiave, suddivisi in quattro pilastri, da conseguire entro il 2025:
1) Combattere la discri­mi­nazione nei confronti delle persone Lgbtiq, migliorando la protezione giuridica in materia anche a livello internazionale e promuovendo l’inclusione sul luogo di lavoro, nell’istruzione, nella sanità, nella cultura e nello sport.
2) Garantire l’incolumità delle persone Lgbtiq, rafforzando la protezione giuridica e le misure per combattere l’incitamento all’odio.
3) Costruire società inclusive per le persone Lgbtiq, migliorando la protezione giuridica delle famiglie arcobaleno in situazioni transfrontaliere e il riconoscimento dell’identità transgender e delle persone intersessuali.
4) Guidare la lotta a favore dell’uguaglianza delle persone Lgbtiq nel mondo, rafforzando l’impegno dell’Ue per le questioni Lgbtiq in tutte le sue relazioni esterne.

L’omosessualità è ancora reato in 70 paesi. Unione europea in prima linea con il sostegno agli attivisti nelle zone più a rischio

In oltre 70 paesi al di fuori dell’Ue, l’omosessualità è ancora punita come reato, e in alcuni di essi gli omosessuali sono addirittura perseguibili con la pena di morte. In altri, le persone Lgbtqia+ non vengono tutelate a sufficienza dalla discriminazione e dalle eventuali violazioni dei diritti umani. L’Ue incoraggia gli altri paesi a perseguire un percorso di ampliamento dei diritti e di protezione nei confronti delle tematiche di orientamento sessuale e identità di genere: nell’aprile 2019, ha condannato le leggi che in Brunei puniscono le relazioni omosessuali con la morte per lapidazione, la detenzione o la fustigazione.
«Nessuno dovrebbe essere punito per aver amato qualcuno. Ciò non deve mai essere considerato reato», ha sottolineato Federica Mogherini, ex Alta rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione, in occasione del dibattito sul Brunei del 18 aprile 2019 al Parlamento europeo.
Inoltre, dal 2016 l’Unione europea ha sostenuto 16 progetti realizzati da organizzazioni della società civile in Asia, Africa, America latina ed Europa orientale, per un totale di 5,2 milioni di euro, e nel 2018 ha istituito un nuovo fondo di 10 milioni di euro per sostenere gli attivisti e le organizzazioni Lgbtqia+ in zone a maggiore rischio di discriminazione.
Un elemento fondamentale, poi, è rivestito dai criteri di adesione (o criteri di Copenaghen) che i paesi che desiderano aderire all’Unione europea devono rispettare: la tutela e la promozione dei diritti delle persone Lgbti rimangono una priorità per l’Unione Europea nei paesi candidati, e per questo sono previsti finanziamenti per le reti che promuovono i diritti nei Balcani occidentali e in Turchia. L’Ue discute inoltre con i governi dei paesi confinanti (i paesi “del vicinato”) a proposito dei diritti delle persone Lgbtqia+ e monitora la situazione sul campo, fornendo sostegno finanziario alle organizzazioni impegnate nella regione.