«Così l’opera di don Gianolio continua a vivere»

Intervista a Olindo Cervella, presidente della Fondazione dedicata all’indimenticato sacerdote

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L’ultimo Natale, nel­l’Albese, ha ac­ceso una stella molto luminosa: quella della Fonda­zione Don Gianolio, costituitasi uf­fi­cialmente proprio sul finire dell’anno con l’obiettivo di portare avanti il messaggio e l’opera dell’indimenticato sa­cerdote che fondò la scuola professionale albese Inapli, og­gi Apro Formazione, aiutando migliaia di giovani del territorio nella loro formazione professionale e nell’ingresso nel mondo del lavoro. Noi della Rivista IDEA abbiamo parlato del progetto con il pre­sidente della Fon­dazione, l’imprenditore, già amministratore di molti enti pubblici e privati, Olindo Cervella.

Cervella, partiamo dall’inizio. Chi è stato don Giovanni Bat­tista Gianolio?
«Scelgo una definizione co­niata da altri, ma sicuramente molto efficace: don Gianolio è il don Bosco di Alba, Langhe e Roero».

Il motivo?
«Con coraggio e altruismo, ha rinunciato a tutto per regalare un futuro migliore o, comunque, un’opportunità a tanti giovani, di allora e di oggi».

C’è anche lei, Olindo, tra quei giovani?

«Sì, e ho un debito di riconoscenza nei suoi confronti».

Ce ne parli.
«Iniziai a conoscerlo attorno alla metà degli anni Cin­quanta, quando avevo undici anni ed ero ospite del Ri­co­vero Poveri Giovani di Alba, quello che oggi è l’Istituto Ferrero. Mia madre era rimasta vedova con otto figli, senza peraltro poter percepire alcun indennizzo perché mio padre, prima di morire, lavorava in nero. Così mi trovai costretto a lavorare in prima persona, ma del resto, purtroppo, succedeva anche a tanti altri miei coetanei».

Ci descriva il contesto.

«All’epoca, l’“esperienza” ave­­­va sempre la meglio ri­spetto alla “scienza”. Così si lavorava sei giorni su sette, per almeno 54 ore settimanali. La paga era di 200 lire al giorno, 1.200 alla settimana. Ma vale la pena soffermarsi anche sul contesto che c’era attorno al mondo del lavoro».

Prego, prosegua.

«Vivevamo in un’epoca in cui i bambini nati fuori dal matrimonio erano considerati “figli del peccato”. Nelle scuole elementari c’era il banco dell’asino. In politica, votare per i comunisti era deplorevole».

E don Gianolio cosa fece?
«Capì, tra i primi, che quello dei giovani costretti a lavorare, senza avere la possibilità di formarsi, era un grosso problema, per svariati motivi. Così decise di andare controcorrente. Rinunciò a tutti i beni che aveva e creò l’Inapli. La scuola di formazione professionale albese nacque ne­gli scantinati della Chiesa di Cristo Re e ottenne subito il prezioso supporto di Giu­seppe Miroglio, papà di Carlo e Franco, e di Giovanni Ferrero, lo zio di Michele (il padre di Michele, Pietro, era già deceduto qualche anno prima)».

Diceva che deve molto a don Gianolio.

«Fu lui che mi spinse a frequentare le medie e poi le superiori. Altrimenti, quasi sicuramente avrei fatto come la maggior parte dei ragazzi nella mia stessa situazione, ossia avrei continuato a lavorare e basta».

Un suo modo di dire che le è rimasto impresso?
«Diceva sempre di cancellare la parola “impossibile” dal vocabolario. Custodisco pure un altro ricordo: spesso, ero in Vescovado per dare una mano al segretario di allora, don Emilio Stella, e mi capitava di ascoltare i colloqui tra don Giovanni Battista Gia­no­lio e lo zio Pasquale, all’epoca vicario generale della Dio­cesi, il quale, non comprendendo la visione e la lungimiranza del nipote, gli diceva, in piemontese stretto, che “era un buono a nulla”. I fatti lo avrebbero poi smentito ampiamente…».

Ecco, quindi, la Fondazione in suo nome.

«Un’iniziativa che mi riempie di gioia. Per questo ho accettato con piacere di farne parte e, poi, di esserne il presidente. L’obiettivo è portare avanti l’opera di don Gianolio assicurando supporto ai giovani».

Quali sono le necessità?
«Diversi ragazzi, pur avendo grosse potenzialità, sono co­stretti ad abbandonare la scuola per problemi economici. La Fondazione non vuole che ciò si verifichi e, pertanto, metterà a disposizione delle borse di studio ad hoc. Poi ci impegneremo per l’attivazione di percorsi formativi specifici, perché sempre più spesso mancano delle figure professionali qualificate, oltre che per cercare di risolvere le problematiche di alloggio che interessano i giovani lavoratori stagionali, anche alla luce del fatto che qui in zona ci sono oltre 1.800 appartamenti sfitti».

Le prospettive dell’ente che presiede?

«La Fondazione, che è supportata dall’Apro, è partita bene. Ai soci fondatori – il sottoscritto, Amabile Drocco, Felice Cerruti, Renata Sic­car­di, Francesca Sartore, Giu­seppe Galeasso e Paola Ferre­ro – stanno per aggiungersene altri, comprese diverse aziende. L’opera di don Gianolio continuerà a vivere».