«Così possiamo dare un futuro al nostro pianeta»

Franco Borgogno, naturalista e ricercatore piemontese: «Ciascuno è chiamato ad agire, ne va del proprio benessere. Cambiamento del clima? Effetti tangibili anche in Granda. Bisogna prevenire e sapersi adattare»

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Il tema della tutela am­bientale occupa or­mai uno spazio sempre più centrale nel dibattito contemporaneo. L’amore e il rispetto per la natura sono elementi decisivi non solo per la salvaguardia del pianeta, ma anche per il benessere dell’individuo, nell’ottica di un intreccio natura-uomo troppo spesso sottovalutato. Per discutere di questi argomenti, anche in chiave locale, abbiamo intervistato Franco Borgogno, noto naturalista e ricercatore piemontese, con un passato da giornalista (a Tuttosport ma non solo), oggi presidente di Ocean Literacy Italia e collaboratore dello European Research Institute.

Borgogno, nei giorni scorsi è stato protagonista del venerdì letterario, a Torino, nel­l’am­­bito del progetto Cine­mAm­­biente. Qual è l’impatto di que­sti incontri sulle campagne di sensibilizzazione al­la sostenibilità ambientale?
«L’impatto è fortissimo, so­prattutto sui più giovani. In­nanzitutto perché rappresentano la platea di persone che più fortemente subirà le conseguenze delle dinamiche in corso e, quindi, sono quelli più interessati. Ma anche perché sono particolarmente at­tenti e sensibili a queste te­matiche, le recepiscono im­mediatamente e questo si ri­vela fondamentale per tutta la comunità, visto che ciò che dice il nipote al nonno o il figlio ai genitori ha un impatto decisamente più forte rispetto a ciò che comunica lo scienziato».

Nell’occasione ha presentato i suoi due libri, “Un mare di plastica” e “Plastica, la solu­zio­ne siamo noi”. In virtù della sua grande esperienza, come crede si possa fronteggiare concretamente il problema dei rifiuti in plastica?
«Questo è un tema globale, che interessa tutti i Paesi e tutti gli ambienti del mondo. Con l’istituto di ricerca per il quale lavoro ci occupiamo dell’inquinamento da plastica dalla cima delle montagne al mare. Dovunque lavoriamo troviamo rifiuti di questo materiale, in qualunque luogo, specie in quelli sperduti. A questo proposito, la prima cosa da fare è ridurre la quantità di oggetti, in particolare proprio quelli di plastica, che utilizziamo. Poi è importante rendere efficace l’azione di raccolta dei rifiuti e di differenziazione – aspetti su cui l’Italia sta già lavorando molto bene – e dedicarsi alla ricerca di materiali innovativi che siano sostenibili. Ovvia­mente la chiave di tutto questo, perché lo facilita, è agire sulla consapevolezza del­le persone. Le soluzioni sono fatte da leggi e dinamiche economiche, ma quelle funzionano solo se c’è una base di sensibilità forte».

Lei ha vissuto in prima linea ben tre spedizioni nel Mare Ar­tico. Cosa può raccontarci di quelle esperienze? Che sen­sazioni si provano?
«Sono esperienze che rimangono per tutta la vita. Si tratta di luoghi in cui si ha una percezione veramente forte del creato, ci si rende conto dell’immensa ricchezza che si ha attorno e del fatto che l’uomo sia solo una parte. Poi lì ci sono colori straordinari, che – per questioni fisiche – in quelle tonalità non sono visibili alle nostre latitudini».

Tra i temi ambientali più stringenti figura poi il cambiamento climatico. C’è speranza che la situazione possa migliorare?
«Anche quelle climatiche so­no dinamiche globali, che avvengono su tempi molto lunghi. La nostra vita e i no­stri luoghi sono inseriti in una prospettiva globale: con le no­stre azioni possiamo produrre effetti a 20mila chilometri di distanza e viceversa. Si può migliorare, ma bisogna considerare che parliamo di meccanismi con leggi assolute, quelle della termodinamica, che rispondono a parametri fisici. Sono importanti i tempi: possiamo tamponare la situazione, ma vanno fatte delle scelte, sapendo che si agisce per il nostro benessere sotto tutti i punti di vista. I nostri atteggiamenti hanno, infatti, conseguenze su temi come la salute, l’economia e la sicurezza. Sono dimensioni correlate e indipendenti da giudizi etici, seguono leggi fisiche, per cui alle nostre azioni corrispondono delle conseguenze: dunque, è possibile agire».

Parlando sempre di clima, quanto sono significativi gli ef­­fetti della siccità su eccellenze quali il tartufo e le produzioni tipiche dell’agricoltura cuneese?
«Le conseguenze a livello lo­cale sono assolutamente im­portanti. Basti pensare ai tempi delle vendemmie, che sono arretrate nel tempo di parecchi giorni. Ad un certo punto non sarà più possibile anticipare e quindi bisognerà cambiare colture, eventualmente. I territori che hanno sviluppato il proprio benessere attorno ad alcune eccellenze dovranno variare produzione oppure, se necessario, anche pensare ad altro. Ri­spetto al cambiamento climatico precedente, che è avvenuto 4 milioni e mezzo di anni fa e ha reso così ricche queste aree, quello attualmente in corso avviene in tempi immensamente più brevi e soprattutto ha conseguenze che ricadono sugli esseri umani. In generale è necessario prevedere e adattarsi a ciò che sta cambiando, ottimizzando le risorse».

In riferimento al territorio, so che ha in programma dei progetti legati alle montagne cu­neesi. Quali sono?
«Con l’European Research Institute lavoro al progetto “CleanAlp”, basato su una ricerca unica al mondo. Nel corso di circa 50 escursioni sulle Alpi piemontesi e valdostane stiamo raccogliendo i rifiuti, che verranno censiti e produrranno una ricerca assai dettagliata, importante per la prevenzione. Nel Cuneese ef­fettueremo moltissime escursioni, copriremo tutta la zona tra metà aprile e fine giugno (programma dettagliato sulla pagina Facebook del progetto, ndr). Le escursioni saranno gratuite e aperte a tutti, basterà iscriversi per poter conoscere meglio questi posti e, al contempo, contribuire a un’attività di ricerca».
D’altra parte il suo legame con la Granda è radicato, con­siderate le sue origini.
«Ho le mie radici proprio lì, mia madre è di Santa Vittoria d’Al­­ba, mio padre di La Mor­ra. Sono zone in cui sono cresciuto, mi piacciono moltissimo e le frequento abitual­men­te. Sono luoghi in cui ho iniziato a conoscere e ad ama­re la natura, li considero la ba­se di quello che sto facendo».

Nel suo percorso professionale ha coltivato diversi interessi, tra questi lo sport e in particolare il basket. Com’è cambiato il suo modo di vivere questa passione, ora che si occupa di altro?
«È cambiato nel mio impegno diretto, sono più portato a seguire che a partecipare. Gli anni che ho passato a fare sport, come atleta, come allenatore e come giornalista, sono quelli che mi hanno reso quello che sono oggi. Lo sport è stato la mia vita ed è parte della mia vita anche oggi. Quando viaggio cerco di andare a vedere gli sport più strani che ci sono in giro per il pianeta, proprio perché fa parte della mia passione».

Articolo a cura di Domenico Abbondandolo