Se l’amore diventa una trappola «bisogna prevenire»

Grande partecipazione all’incontro sulla violenza di genere organizzato a Fossano da Anna Mantini

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Sono stati 120 i fem­mi­nicidi in Italia nel 2022, e nel gennaio del 2023 si registrano già, purtroppo, tre donne uccise. «I numeri restituiscono un quadro drammatico delle relazioni d’amore malate, con una narrazione dei fat­ti molte volte indulgente nei confronti di chi uccide, colpevolizzando la vittima», ha spiegato a IDEA Anna Manti­ni, consigliera di Parità Regio­nale del Piemonte. È proprio lei a promuovere in Granda eventi e iniziative di sensibilizzazione sul tema della violenza di ge­nere, come la partecipatissima conferenza te­nu­tasi a Fossano nei giorni scorsi. Grazie alla collaborazione con l’Ammi­ni­stra­zione Co­mu­nale, il Cinema Teatro “I Portici” ha ospitato, tra le tante relatrici intervenute, la nota criminologa e psicologa forense Roberta Bruz­zon­e, per un dibattito dal titolo “Manipolazione mortale: quando l’amore diventa una trappola”.
L’evento ha riscosso un notevole successo. I temi del di­battito spaziavano dalla violenza domestica alle relazioni tossiche, passando per la “cultura dello stupro”. «Sradicare gli stereotipi di genere è il primo passo per eliminare la dolorosa piaga del femminicidio e dei delitti in famiglia. Occorre imparare a chiamare le cose con il proprio nome, di­stinguere l’amore dal possesso, la realtà dall’immaginazione, la sostanza dall’apparenza», ha evidenziato Anna Man­tini, introducendo le o­spi­ti della serata.
La prima relatrice a prendere la parola è stata Elena Bonifacio Gianzana, project management assistant esperta in Diversity&Inclusion pres­so Westport Fuel Sy­stems. Il suo intervento ha fat­to luce sulle disparità di genere nel mondo del lavoro: «Il lavoro è un diritto di tutti – ha detto -. Il principale “driver” di prevenzione della violenza è investire sulle donne, sulla loro indipendenza economica e non, partendo dall’applicazione della legge sul­la parità, fornendo strumenti per conciliare carriera professionale e vita famigliare e in­tervenendo in caso di violenze e soprusi».
A seguire, la testimonianza della fossanese Agnese Alla­sia, la cui sorella Silvana, madre di due figli, ven­ne uccisa nel 2014. Il suo racconto, al di là della dolorosa esperienza personale, si è incentrato sui disturbi, di cui soffrono gli orfani di femminicidio, di natura fisica, psicologica e sociale. Sono necessarie maggiore consapevolezza del­la portata della violenza do­mestica e misure cautelari più severe nei confronti del violento, a protezione delle vittime da sofferenze ulteriori, compreso il rischio di reiterazione del reato. Quest’ultimo è oggigiorno sottovalutato dalle norme, anche quelle sulla giustizia riparativa della Riforma Cartabia, che prevede l’obbligo di percorsi di me­diazione e conciliazione.
A dettagliare ulteriormente la questione è stata la criminologa Roberta Bruzzone, che ha seguito da vicino decine di casi di femminicidio. Secondo la sua esperienza, il comune denominatore nei casi di violenza di genere pone le sue radici in una relazione non bi­lanciata. In una società an­corata a modelli patriarcali, la donna ha infatti sempre ricoperto un ruolo subalterno. Tutt’oggi le bambine, che ne­gli anni dell’infanzia sviluppano aspettative riguardo al pro­prio futuro identiche a quelle dei maschi, crescendo sono portate a considerarsi inferiori. Per loro bambole, anziché giochi nella natura, cucine in miniatura e passeggini, anziché astronavi e ro­bot. Come a dire che i maschi vanno sollecitati nell’intelligenza, mentre le femmine nel­l’empatia e nella cura del­l’altro, figli e marito. Questo soltanto un esempio tra i nu­merosi stereotipi di genere comunemente applicati alla pratica. È la famiglia che, per prima, ha il dovere di non alimentare una narrazione che limita la libertà, l’autodeterminazione e la realizzazione delle donne nella vita privata e professionale. A questo stesso fine hanno la responsabilità di adoperarsi le istituzioni, la scuola, il mondo del lavoro e della comunicazione. Poi le domande del pubblico. Su una, in particolare, si è soffermata Bruz­zo­ne: cosa fare in presenza di violenze? In pri­mo luogo, parlarne con le persone vicine e, ap­pena possibile, rivolgersi a uno specialista per comprendere cosa renda la relazione tossica. «È fondamentale chiedere aiu­to a un centro anti-violenza e denunciare, perché non accada più a noi, ai nostri figli e ad altre donne dopo di noi», ha concluso la criminologa.

Articolo a cura di Matilde Benedetta Botto