Nata a Finale Ligure, in provincia di Savona, Roberta Bruzzone è una criminologa e psicologa forense nota in tutta Italia e spesso invitata a intervenire come esperta nelle principali trasmissioni televisive nazionali. È stata peraltro coinvolta direttamente come professionista nelle indagini relative al delitto di Avetrana e sulla strage di Erba. Più volte intervistata dalla Rivista IDEA, che l’ha avuta anche come ospite in occasione di importanti momenti di approfondimento promossi in Granda, Roberta Bruzzone è stata invitata a partecipare all’appuntamento di Fossano. A margine dell’incontro abbiamo colloquiato con lei per parlare del suo impegno professionale e di come affrontare il tema della violenza di genere. Il suo compito principale nelle indagini – ci ha spiegato – consiste nel fare chiarezza sulle dinamiche psicologiche che portano a determinati scenari criminali. Inoltre, si occupa di ricostruire i comportamenti avvenuti sulla scena del crimine e di valutare l’attendibilità delle dichiarazioni rese da testimoni o presunte vittime. Omicidi, atti persecutori, violenze sessuali, casi di scomparsa: in questi scenari la dottoressa Bruzzone cerca di aiutare a fare giustizia. «La maggior parte delle vittime di violenza di genere – ha dichiarato a IDEA – avrebbe potuto essere salvata. È necessaria maggiore sensibilizzazione sulle conseguenze di una relazione tossica; molte donne non hanno gli strumenti per difendersi dalle pressioni psicologiche, che, anzi, spesso portano a sviluppare una dipendenza affettiva. Si convincono di non poter vivere senza quel tipo di legame e, per questo motivo, diventa sempre più difficile sottrarsi a esso e alle violenze che comporta. D’altra parte, in tali situazioni, il partner maschile ritiene di avere il pieno controllo e dominio della donna e non accetta che essa prenda decisioni in autonomia: diventa un oggetto. Alla base c’è un problema culturale sistemico, che dobbiamo risolvere agendo sotto ogni fronte: servono impegno e collaborazione da parte delle istituzioni, del mondo scolastico e di ognuno di noi».
Matilde Benedetta Botto
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