Benedetta Tobagi, figlia di Walter il giornalista del Cor­riere della Sera, ucci­so nel 1980 in un attentato della Brigata 28 Marzo, è stata a Cuneo per Scrittori in Città con il suo libro “La Resistenza delle donne”.

Che cosa si intende per Resistenza delle donne?
«Si parla dell’esperienza storica delle donne all’interno dei venti mesi della Resistenza, dal ’43 al ’45, principalmente. È un saggio in forma narrativa, quindi continuo a praticare la forma su cui ho lavorato per la storia delle strade di piazza della Loggia e di quella di mio padre. Il libro è basato sulle vicende storiche, su figure reali, ma è scritto con un passo narrativo e ho cercato di creare proprio una “corale”, un racconto in cui entrano tante figure, tanti aspetti diversi dell’attività delle donne nella Re­sistenza. Una scelta che lo rende particolare è che il libro è costruito intorno ad un’ampia selezione di fotografie, ce ne sono 145, che non solo sono proprio l’ossatura del libro ma sono in continuo dialogo con il testo. È un libro in cui parlo della Resistenza negli aspetti storici e sociali ma anche cercando di evidenziare gli aspetti esistenziali di questa esperienza dalla prospettiva femminile. Il libro si occupa anche del dopo, di quello che succede dopo la fine della guerra e del fatto che appunto per le donne in realtà comincia un’altra battaglia perché il patriarcato sopravvive al fascismo in perfetta forma e quindi c’è tutto un tema anche di oblio e poi di recupero di questa esperienza. Il grande tema che percorre il libro è il contrasto tra il silenzio e la voce proprio come possibilità di espressione delle donne».

Un tema molto attuale, direi.
«La cosa impressionante è che più mi addentravo in questa storia più mi rendevo conto che era di un’attualità impressionante, nei suoi nodi fondamentali: che si tratti del modo in cui vengono trattate le donne che hanno subito violenza, che si tratti delle perduranti disuguaglianze e ingiustizie all’interno della società, che si parli anche dei fantasmi che le donne hanno introiettato rispetto a come “dovrebbero essere”. O che si parli della retorica della maternità che in realtà viene molto decostruita nel corso della Resistenza perché si manifestano modi di essere madre che travalicano il confine delle mura di casa e al tempo stesso la donna si conquista il diritto di essere anche combattente in armi quindi non solo figura di cura».

È un tema storico quindi molto attuale, alla fine le donne di cui lei parla affrontano i problemi che si ritrovano anche oggi.
«Sono stati fatti passi da gigante rispetto ad allora, innanzitutto grazie a loro e poi a generazioni di donne che hanno continuato a fare politica, sia di ex partigiane poi tutta la generazione delle proto-femministe e delle femministe. È bellissima l’attualità del messaggio che portano queste figure e infatti a me piace pensare che possano essere come una fonte di ispirazione ma anche delle compagne di viaggio per le donne di oggi, anche perché loro si sono dovute confrontare con un contesto oggi impensabile. Sono veramente le prime, non hanno modelli, non hanno nemmeno le parole per dire quello che stanno facendo. Mi piace pensare che oggi possiamo guardare a loro un po’ per specchiarci e un po’ per trarre forza per continuare nel nostro tempo ciò che loro hanno cominciato in maniera devo dire straordinaria».

Lei ha letto quanto ha scritto Nuto Revelli sulle donne in particolare piemontesi?
«Cito spesso “L’anello forte”, un libro seminale, meraviglioso che per me è stato fondamentale. Sono lieta di essere affiancata dalla direttrice della Fondazione Nuto Revelli, gli studiosi come lui hanno svolto lavoro fondamentale nel recupero di queste “storie di ordinaria eccezionalità femminile” soprattutto nelle campagne, soprattutto in tem­po di guerra. Chiaramente sono vicende che si intrecciano in molti casi con quelle della Resistenza oppure semplicemente corrono in parallelo perché in realtà nella guerra ci sono anche donne che non sono direttamente coinvolte, ma rappresentano co­munque un serbatoio di energie straordinarie».

Lei conosce le Langhe?

«Ci sono già stata, sia per “scrittorincittà”, sia in vacanza. Vorrei conoscerle ancora meglio, sono una terra bellissima, oltre che un paradiso enogastronomico! Una terra pregna di memorie della Resistenza, questo è veramente commovente e la mia impressione è che sia una memoria ancora molto presente e molto sentita nel territorio».

Da cosa è nata l’idea di scrivere di donne e di Resi­stenza?
«È partito tutto da una manciata di fotografie di archivio e da una bella chiacchierata con il mio editore Einaudi, che mi ha dato mano libera. Da qui l’idea di fare un saggio narrativo in cui le immagini fossero proprio in dialogo con il testo. Io avevo già fatto delle escursioni al di fuori dei temi in cui sono specialista, avevo fatto un reportage narrativo, un “viaggio“ in Italia nelle scuole ad alta densità di stranieri. Il tema delle donne e la Resistenza mi affascinava moltissimo anche perché in realtà io lo sento legato a doppio filo a storie di personaggi di cui ho già scritto, per esempio nel libro sulla strage di Brescia: sono le antenate delle donne che ho raccontato lì, uccisse dalla bomba. Queste donne della Re­sistenza erano state l’ispirazione di quella comunità di donne impegnate in politica dalla seconda metà degli Anni ’70. L’esperienza della Resistenza, nonostante ciò che ne può dire – o non dire – il nuovo potere, è il crogiuolo dell’Italia repubblicana e della Costituzione, veniamo da lì».

Il suo primo libro era dedicato a suo papà, una storia che ha segnato l’Italia.

«Mio papà era stato un ragazzo della sinistra riformista, nel 1965, a vent’anni dalla Libe­razione con il suo migliore amico scriveva, per il giornalino del liceo Parini di Milano, La Zanzara. Scrivevano dei compgani di scuola che non sapevano niente della Resistenza e riuscirono a intervistare Gior­gio Bocca. Mi dispiace di non potergli far leggere questo mio libro, sarebbe stato bello parlarne con lui».