«È la mostra più importante su Soffiantino»

Inaugurata alla Fondazione Ferrero, celebra il pittore e incisore: “Tra oggetto e indefinito”

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Tutto comincia con una fotografia in bianco e nero, dove Giacomo Soffian­tino è in posa assieme agli amici e colleghi Piero Ruggeri e Sergio Saroni. Con loro anche i più giovani Marco Gastini e Giorgio Ramella nella Torino del 1963. Come sottolinea Luca Beatrice, «non sembrano neanche artisti, per come li immaginiamo oggi, sono eleganti come personaggi di un film tra il noir francese e l’hard-boiled americano». È il dettaglio che apre il catalogo della mostra inaugurata alla Fondazione Ferre­ro di Alba fino al 30 giugno, dedicata all’opera e alla vita di Giacomo Soffiantino, pittore e incisore torinese scomparso nel 2013: “Tra oggetto e indefinito”. Il titolo riassume l’essenza della produzione stessa dell’autore, ripercorsa con parole speciali dagli stessi curatori, tutti presenti sul palco della fondazione per l’anteprima: con il già citato Luca Beatrice, anche Michele Bramante e Adriano Olivieri. Con loro, Carlotta Soffian­tino, figlia dell’artista.

La presentazione della mostra è stata il pretesto per ripercorrere le tappe culturali che hanno caratterizzato la scena torinese negli anni della città-fabbrica, dove «c’era traffico alle 8 del mattino e alle 18, per il resto più nulla», ma che nei risvolti – è il caso di dirlo – delle meccaniche industriali confermava una certa attitudine creativa, prerogativa della Torino che spesso anticipa mode o percorre comunque strade inedite.

Così come le scelte artistiche di Giacomo Soffiantino, allievo di Francesco Menzio a sua volta formato da Felice Ca­sorati. Il primo passaggio della mostra, articolata in sette sezioni attraverso una selezione di oltre 50 opere e che si sviluppa nei locali di Strada di Mezzo, documenta proprio le origini del pittore fino alla consacrazione del 1961 con la personale organizzata da Luigi Carluccio alla Galleria La Bussola di Torino.

C’è poi un approfondimento dedicato allo speciale rapporto tra Soffiantino e Venezia, non solo con la partecipazione a quattro esposizioni internazionali d’arte della Bien­nale tra il 1956 e il 1972, ma anche con l’importante personale del 1993 alle Prigioni vecchie di Palazzo Ducale. La mostra poi analizza due temi centrali come natura e luce, nell’evoluzione di un tragitto inizialmente de­dicato all’arte informale, poi più attento alla natura in una tensione continua tra astrazione e figura.

Quello della luce, in particolare, è un problema a cui Sof­fiantino non smette mai di prestare attenzione. «In fragile equilibrio – spiega Olivieri – tra esperienza sensoriale e percezione psichica, l’artista calibra la sua boreale tavolozza in modo che le luci alimentino gli oggetti di una stentata linfa, ma ne congedino al contempo l’acquiescenza vitale. In Soffiantino il tempo della pittura ambisce a corrispondere al tempo vegetativo e biologico».

Non manca un capitolo chiamato “Esistenza” – dove trovano spazio elementi ricorrenti come teschi o conchiglie – così come “Continuità” evidenzia la cifra stilistica di Soffiantino, fino alla sezione “Epilogo” che chiude la mostra riunendo le opere degli ultimi anni, quelle del Duemila, periodo in cui arrivano molti riconoscimenti ma anche fasi di ulteriore sperimentazione. Quando l’artista si spegne, il 27 maggio 2013, lascia un’opera incompiuta, ovvero “Leopardi”, che suggerisce nuove possibili strade creative e che chiude di fatto l’esposizione.

Dopo la presentazione alla stampa, con l’introduzione curata da Bartolomeo Salo­mo­ne, presidente di Ferrero Spa e segretario generale della Fondazione Ferrero, al taglio del nastro ha provveduto la signora Maria Franca Ferrero assieme al sindaco di Alba, Carlo Bo.

Come ha spiegato la stessa Carlotta Soffiantino, il legame con Fondazione Ferrero è forte: «Questa è la più grande e più importante mostra che sia stata mai dedicata a mio padre Giacomo».