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«L’arte deve creare la giusta armonia contro le guerre»

Michelangelo Pistoletto ha fatto entrare Gianna Nannini nel suo Terzo Paradiso: «Con la sua musica è nata una scultura vocale»

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«Lei è la Musa, io sono il mu­­so». Lei è Gianna Nan­­­nini e lui Michelangelo Pistoletto, in vena di battuta. Biellese di nascita e di residenza, è uno dei più autorevoli rappresentanti della rivoluzione artistica degli anni ’60-’70. L’au­tore dei Quadri specchianti, per chi c’era, quell’opera che già più di mezzo secolo fa prevedeva la presenza dello spettatore-fruitore come parte co­stituente. Ora a entrare nell’opera è la celeberrima rockstar senese, che per il Maestro ha messo da parte il suo spirito rock ed è diventata ombelico dell’opera. “Il Terzo Para­diso”, di cui ci hanno raccontato al Teatro Quarticciolo di Roma di fronte a una platea scalpitante e catturata.
Maestro, ce ne parli.
«Chiamo Terzo Paradiso la fase più recente del mio lavoro, il cui simbolo è una riconfigurazione del segno matematico di infinito, formato da tre cerchi: il Terzo Paradiso è il cerchio centrale, tra quello che rappresenta la natura, a sinistra, e quello che rappresenta l’artificio, a destra. Il centro è il luogo di procreazione del nuovo mondo, l’ombelico, il ventre creativo di una nuova società».
E il ventre comincia dall’ombelico della Nannini.
«In questa installazione sì. Ci sono io che ascolto la voce di Gianna che arriva dalle pareti e un lungo cordone ombelicale intrecciato con al centro l’ombelico di Gianna, cioè quello di una nuova generazione di persone che dovranno popolare questo Terzo Paradiso. In questo senso lei è la nuova Eva del nuovo Evo».
Com’è avvenuto l’incontro tra lei e una rockstar?
«Intorno a un bicchiere di rosso, nella sua Bunker Art, a Milano, il seminterrato della sua casa allora adibito a spazio espositivo. A me interessava portare il lavoro nello spazio di un artista e non solo di un gallerista ed entrambi volevamo capire cosa si può fare con l’arte musicale e visiva insieme».
La voce si è espressa attraverso una parola, mama, im­magino non casuale.
«Infatti. L’ombelico è il marchio che tutti portiamo che ci lega alla madre procreativa alla base di questo progetto».
La Nannini ha detto che con la parola mama ha voluto trovare un infinito nel suo infinito, nell’infinito del simbolo.
«Sì e ne è nata una scultura vocale perché la parola della musica è penetrante».
A monte di questa installazione però c’è stata l’Orchestra di stracci, altra sua opera visivo-sonora (a sua volta generata dalla Venere di Stra­c­ci), riproposta in questa oc­casione.
«Un’opera che già dal titolo riconduce al suono. Un mucchio di stracci con al centro il simbolo dei tre cerchi e sul Terzo Paradiso tanti bollitori pieni d’acqua che bollendo fischiano e generano una condensa su un pannello di plexiglass che poi si riversa sugli stracci».
L’acqua come simbolo di ri­nascita?
«L’acqua è importantissima. Pensiamo da una parte al fe­nomeno della desertificazione e dall’altra alle tragedie create dai nubifragi».
Tornando al connubio visione-suono, Gianna Nannini ha apportato all’Orchestra una sua personale modifica.
«Il fischio dei bollitori infatti è fluido e Gianna ha proposto di aggiungere quello di una macchinetta del caffè, per dare ritmo. L’installazione dunque affianca la registrazione di quei suoni alla voce che dice “mama”. Niente a che vedere con il rock».
Durante l’incontro si è lanciata in una dichiarazione molto provocatoria: che è rimasta incinta dopo la vostra collaborazione.
«Nel senso che dopo questo lavoro ha capito che era venuto il momento di essere mam­ma».
Certo. Avete detto che questo si può considerare un work in progress multimediale. So che lo avete portato a Mosca nel 2007, a inizio percorso, e che ora avreste dovuto tornare. Gran brutto momento.
«Si erano aperti rapporti interessanti in ambito culturale. Mosca fu la sede della prima installazione fuori dall’Italia, dopo la Bunker Art di Milano. Proprio ora avrei dovuto esporre con una mia mostra a Mosca. Esattamente due giorni prima dell’inizio della guerra».
Che idea si è fatto di questa guerra?
«Io penso che la Russia dopo la caduta del Muro avrebbe dovuto essere inclusa nell’Eu­ropa e che la Nato sia servita fino a quel momento. Poi basta».
Cosa può l’arte contro la guerra, ammesso che possa?
«L’arte deve creare la capacità di produrre equilibrio e armonia per non entrare in conflitto. È la pace preventiva che ci deve interessare, non la pace come fine della guerra. Le dualità, i contrasti, esistono, ma bisogna sapere metterli in equilibrio, al centro, producendo una vera e propria cultura del pensiero e della realtà, anche sociale. Mi interessa che questo progetto arrivi ai giovani e li aiuti a percorrere la strada della trasformazione attraverso l’arte».

Alessandra Bernocco

BaNNER
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