La intercetto un po’ prima del quarto d’ora, quei minuti che separano l’ingresso in scena degli attori, avvertiti da una voce registrata. «Possiamo parlare – mi dice -, il mio personaggio entra per ultimo». Il suo personaggio è quello di una psicologa molto glamour che cerca di mettere le pezze a un rapporto di coppia disfunzionale, durante un bizzarro ritrovo tra amici. Si intitola “Test”, lo spettacolo ripreso dopo il lockdown che vede Sarah Biacchi in scena con Roberto Ciufoli, anche regista, Benedicta Boccoli e Simone Colombari. Un bel successo e tanta voglia di riprendersi il tempo perduto, con quella leggerezza innocente che ci consola, nonostante tutto. Però è il Bardo il grande amore di Sarah, attrice e cantante mezzosoprano di solida scuola, e con il Bardo ha intessuto una lunga storia d’amore.
Mi interessa partire di qua: parliamo di Shakespeare.
«Un compagno di vita fin dal debutto, prima con Miranda ne “La tempesta” e poi con “Giulietta”, soprattutto, un lavoro sulla giovinezza, sull’incoscienza di giocare con la morte in modo estremo, sull’essere spericolati. Grande emozione fare “Giulietta” a Verona al Teatro Romano».
Il connubio amore-morte in Shakespeare ritorna sempre e di nuovo.
«Sono stata lady Anna nel “Riccardo III” con Jurij Ferrini dove venivo uccisa e soffocata piano piano mentre lui danzava in cerchio sulla sedia a rotelle. Ho affrontato in modo estremo anche lady Macbeth, attraverso Verdi, cercando di annullare il divario tra la lirica e la prosa».
Da Giulietta a lady Macbeth c’è un bel salto.
«Le accomuna l’incapacità di percepire il limite, ma Giulietta è perdonabile perché adolescente, lady Macbeth invece viene uccisa dalla sua infinita capacità di seduzione. Ha un talento smisurato, percepisce presenze, parla con gli spiriti ma è completamente priva di empatia. Se avesse il cuore come il cervello sarebbe una regina illuminata invece sono entrambi al servizio del suo ego. È insaziabile, come affetta da una sindrome di accumulo».
Molto contemporanea, direi.
«È proprio quello a cui stiamo assistendo in questi giorni. C’è un uomo ossessionato dal potere che vive isolato in un bunker e sfreccia nella sua capitale per paura di venire ucciso. Il male non è mai felice, è il suo limite intrinseco».
Non così per Amleto. Lei ha diretto un singolare Amleto con una compagnia di sole attrici. Che ricordo ne conserva?
«Amleto ha il coraggio di immolarsi per la sua terra e compie un profondo sacrificio di se stesso. Il mio ricordo va a Ludovica Modugno, la più grande attrice che abbia diretto, la bontà fatta a persona. Interpretava Claudio, un ruolo che non poteva esserle più distante, la rappresentazione di quello che Amleto cerca di soverchiare con il suo sacrificio».
Tornando a lady Macbeth, ricordo che ha cantato un’aria da Verdi quando ha interpretato un’allieva di Maria Callas in “Maria Callas – Master Class” di Terrence McNallydi con Mascia Musy. Non ha mai pensato di dare lei stessa voce alla Callas?
«Sì, e c’è un progetto a cui stiamo pensando. Si vedrà».
La sua “Edith”, omaggio alla Piaf invece resiste da ben dieci anni.
«Dal 2013. Un testo scritto e diretto da Davide Strava. Un grande dono che mi ha regalato l’indipendenza».
In che senso?
«Nel senso che il mondo si è reso conto di quel che potevo fare. A fine spettacolo succede che lo stesso venga subito richiesto per altre piazze. Edith è il personaggio a cui io lascio più spazio, mi faccio da parte. Il suo “ingombro” vocale ed esistenziale è enorme. Ho lavorato molto per cercare i risuonatori giusti che sono quelli di chi usava la strada come primo palcoscenico. In Francia era normale e si misurava il valore di un cantante se lo si poteva sentire dal quinto piano».
Qual è la cantante alla cui voce si sente più vicina?
«Se guardo la natura, Liza Minnelli. Poi si tratta di trovare con tutte le voci un punto di partenza, un’aderenza, pur senza imitare, e da lì spostarsi e ampliare».
In questo caso ‘tutte le voci’ sono quelle delle otto donne che interpreta in un solo spettacolo, interrotto dalla pandemia, A night in Hollywood con la regia di Massimiliano Vado. Di che si tratta e di chi?
«Una vera prova di virtuosismo vocale. In scena sono sola per otto donne: Ella Fitzgerald, Evita, Marilyn, Audrey Hepburn, Gilda, Edith, Liza Minnelli, Yvonne Elliman. La voce racconta la vita e non ci si può limitare a imitare i suoni ma bisogna capire cosa c’è dentro quei suoni. Se sono tali per una questione di postura, per la conformazione facciale, perché apri la mascella di cinque gradi in più del necessario».
Che è un po’ il lavoro che fa come insegnante.
«Infatti, io insegno quello che faccio».
Dove potremo vederla prossimamente?
«Al Festival di Borgio Verezzi che quest’anno sarà dedicato alla pace nel mondo. Inauguriamo il prossimo 8 luglio con una commedia spagnola sul tema del lavoro dall’atmosfera tipicamente almodovariana. Si intitola “Il sequestro” e la regia sarà di Rosario Lisma. In scena con me ci sarà di nuovo Roberto Ciufoli, e poi Nino Formicola, Alessandra Frabetti, Daniele Marmi».