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Un francobollo per Tognazzi l’italiano vero

Cento anni dalla nascita del grande attore nel ricordo di un Paese affamato di novità

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Un francobollo celebrativo per il centenario della nascita di Ugo Tognazzi. È stato emesso il 23 marzo, il giorno della nascita del grande attore, dal Ministero dello Sviluppo Economico. La tiratura è di trecentomila esemplari, il bozzetto è stato realizzato da Francesco Di Pietro. Nella vignetta è riprodotto un ritratto di Ugo Tognazzi in primo piano su uno sfondo in cui s’intravedono alcune immagini di film e in alto a destra spicca l’icona stilizzata di un ciak.

Un omaggio dovuto al grande attore: i cent’anni di Ugo Tognazzi sono un’istantanea dell’Italia che cambia, uscita affamata di vita e di cibo dagli stenti della guerra mondiale, gettata nella corsa al benessere degli anni ‘60, attraversata dalla paura e dall’eccesso negli anni ‘70, ripiegata sulla ricerca di sé nel decennio successivo. Attore monumentale nella sua naturalezza, capace come pochi di mutare registro tra il comico e il drammatico con una semplice smorfia e un battito di ciglia, Ugo To­gnazzi ha saputo costruirsi protagonista giocando sempre da coprotagonista, usando il registro dell’understatement anche quando faceva il mattatore, dipingendosi co­me uomo normale, sempre in prima fila nel prendere in giro sé stesso e l’italiano medio. Sempre, salvo quando troneggiava in cucina, sua grande passione, dove non tollerava critiche e cercava la perfezione.

Figlio di un assicuratore, nacque a Cremona il 23 marzo 1922 e rimase sempre legatissimo alla sua città, dividendo perfino la passione calcistica tra il Milan (per lui “mamma, fidanzata, moglie”) con la Cremonese (“L’aman­te”) dell’amico-presidente Do­­­­menico Luzzara, suo pri­mo compagno di palcoscenico. Assunto come ragioniere al salumificio Negroni, lo lasciò nel 1945 per una serata dei dilettanti al Teatro Puccini di Milano. Lì venne notato e ingaggiato dalla compagnia di Wanda Osiris per far coppia con Walter Chiari e cinque anni dopo debuttava al cinema con “I cadetti di Guascogna” di Mario Mattoli. La svolta venne l’anno dopo con l’incontro con Raimondo Vianello, la scoperta della tv.

Aveva già fatto tutta la gavetta sui set di commedie e farse quando, dopo il licenziamento in tronco dalla Rai nel 1959 per una gag che alludeva al presidente Gronchi, scelse definitivamente il cinema. La svolta coincide con “Il federale” del 1961 diretto da Luciano Salce e poi con “La marcia su Roma” di Dino Risi: due successi popolari che ne fanno un autentico antidivo e gli aprono le porte di Cinecittà.

Nel ‘63 comincia il suo sodalizio con Marco Ferreri (“L’ape regina”), nel ‘64 partecipa al trionfo de “I mostri”, nel ‘65 giganteggia in “Io la conoscevo bene” di Antonio Pietrangeli, nel ‘67 dirige il suo film più ambizioso, “Il fischio al naso” dalla novella di Buzzati. Da lì in avanti la sua carriera sarà in costante ascesa: basti ricordare gli eccessi de “La grande abbuffata”, la trilogia di “Amici miei” e il sodalizio umano e artistico con Mario Monicelli, il trionfo anticonformista de “Il vizietto”, le collaborazioni con Pasolini (“Porcile”), Scola (“Il commissario Pepe”), Luigi Ma­gni (“Nell’anno del Si­gnore”), Luigi Comencini (“L’ingorgo”), Alberto Bevi­lacqua (“La califfa”), Berto­lucci.

Quattro figli da tre compagne (Pat O’Hara, Margarete Rob­sahm, l’adorata moglie Fran­ca Bettoja), Ugo Tognazzi era un uomo fedele: legatissimo a Luciano Salce, Marco Ferreri, Dino Risi, Mario Monicelli, ha avuto in Raimondo Vianello (prima) e Vittorio Gassman (dopo) i più grandi complici. Del resto, fino alla fine Gassmann & Tognazzi (nati nello stesso anno) vissero quasi in simbiosi: in loro rivive un’Italia della memoria che è anche spettacolare fotografia delle radici dell’oggi.

BaNNER
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