In occasione del trentesimo anniversario della morte di Adolfo Sarti, la Fondazione Crc ha organizzato un evento pubblico per anticipare i temi che saranno al centro del volume “Adolfo Sarti dagli anni di piombo alla fine della prima Repubblica”. Si tratta della seconda parte del progetto dedicato ai diari del politico cuneese e sostenuto dalla Fondazione Crc All’incontro, che ha visto gli interventi del professor Acanfora, autore dei volumi, e del professor Gio­vanni Mario Ceci, ha preso parte anche la signora Lidia, moglie di Sarti.

Con Paolo Acanfora, docente di Storia contemporanea alla Sa­pienza di Roma la Rivista IDEA approfondisce temi che offrono un prezioso contributo alla comprensione della storia repubblicana.

L’onorevole Adolfo Sarti, vicepresidente della Camera, l’unico democristiano della Gran­da a ricoprire la carica di ministro, morì a Roma agli inizi del 1992. Come è nata l’idea di editare due volumi e alla luce delle informazioni raccolte, che profilo dell’uomo politico Sarti è emerso?
«L’idea iniziale era quella di redarre una biografia politica par­tendo dai Diari, che erano però piuttosto peculiari, non paragonabili a quelli di altri politici come Giulio Andreotti, Pietro Nenni, o alle memorie di Paolo Emilio Taviani… Erano Diari nei quali Sarti riportava un resoconto quotidiano, molto sintetico degli accadimenti e degli eventi che avevano in qualche maniera attirato la sua attenzione, la sua immaginazione… Erano pensieri molto personali, relativi alla sua famiglia, alla salute, alle sue letture e testimoniano una personalità molto colta. Era un politico che leggeva molta letteratura e molta storiografia e anche opere non banali: storici di alto profilo, come George Mosse, Renzo De Felice e coltivava relazioni con Pietro Scoppola. Era una personalità molto at­tenta agli aspetti culturali e non è una banalità per un politico. Aveva un fare un po’ civettuolo, e i Diari questo atteggiamento un po’ lo restituiscono. Quindi alla luce delle informazioni contenute nei Diari abbiamo deciso di dar corso ad un lavoro più approfondito, e non ad un veloce profilo biografico politico. Ne sono scaturiti due volumi. Il primo ha ripercorso gli anni della sua formazione, dal dopoguerra al ’69 e si è fermato a quel famoso 12 dicembre dello stesso anno, giorno in cui un ordigno di elevata potenza esplose nel salone centrale della Banca Nazionale dell’A­gricoltura, sede di Milano, in Piazza Fontana».

Gli effetti furono devastanti: il pavimento del salone fu squarciato e diciassette persone restarono uccise. Altre novanta furono ferite. E nel secondo volume “Adolfo Sarti e le crisi della Repu­b­blica”, lei ripercorre il periodo che intercorre tra il 1970 e il 1992, anno in cui morì il politico cuneese…

«Esatto. Agli inizi degli anni ’70 l’Onorevole Sarti continua l’esperienza di governo: Sotto­segretario ai Beni Culturali e al Tesoro, poi Sotto­se­gretario al Ministero degli interni nei Governi Rumor II e III, e ancora nello stesso ruolo nei governi Colombo, Andreotti I e II ed infine Sottosegretario alla Pre­sidenza del Consiglio fino al ’74. Dal ’74 al ’76 diventa Mi­nistro al Turismo e Spetta­colo con il Governo Moro IV e V. Nei suoi Diari, relativamente a questo periodo emerge l’evolversi di una crisi, o meglio di molteplici crisi che si dipanano nel corso di anni difficilissimi, nel pieno di una guerra fredda che alterna fasi di tensione e distensione ma che fornisce sempre il quadro orientativo delle politiche nazionali».

E proprio la crisi: sociale, economica, politica e del suo stesso partito, in quel preciso momento storico diventa “un’ossessione” per il politico Adolfo Sarti…

«Certo. Lui percepisce un’Italia sull’orlo del baratro, che si sta consegnando sul piano politico, disgregando dal punto di vista istituzionale in virtù di ciò che accade nella società: tensione sociale, scioperi, crisi economiche… Non si può non ricordare che sono gli anni del crollo del sistema monetario internazionale, della crisi energetica del 1973, pesantissima per il nostro Paese. Momenti di estrema tensione che si intrecciano e che il politico e uomo Adolfo Sarti vive in maniera drammatica. Nel ’68 vive un momento di radicalizzazione politica che lo spinge verso atteggiamenti più conservatori e che determinano una crisi vissuta in maniera ossessiva tanto da fargli sperare che arrivi un golpe che riporti ordine. Nei Diari tratteggia una visione peculiare, e gioca nel riportare le speranze di un ordine perduto, calcando la mano nella speranza che arrivi una sorta di “Castro di centro”. Qualcuno insomma che attraverso una soluzione radicale possa rimettere in ordine le cose».

In questo scenario viene spontaneo chiedersi cosa ha rappresentato la Dc per Sarti?

«Lui forse prima di altri ha intuito la crisi della Dc, della centralità di questa forza politica dentro la società e coglie che nel ’74 il referendum sul divorzio con Fanfani evidenzia uno scollamento tra i valori cattolici e quelli di una società che sta andando in un’altra direzione. E pure il referendum del ’81 sull’aborto rafforza questa convinzione, certificando la crisi della Democrazia Cristiana rispetto alla società. La difficoltà della Dc dentro il sistema politico italiano nasce innanzitutto dal confronto con il partito comunista che in quegli anni stava crescendo e diventando sempre più protagonista, come attestavano un terzo dei voti degli elettori. Questi elementi hanno rappresentato per Sarti tangibili segni “della fine del regime della Dc”. Anche se la previsione, come sa, è sbagliata. Bisognerà arrivare alla fine della guerra fredda per vedere il crollo di questo sistema».

Adolfo Sarti è poi stato sfiorato dallo scandalo della loggia massonica P2…

«Si è trattato di una pagina drammatica perché sembrava segnare la fine della sua carriera politica. In realtà la tessera non c’era, è stata invece trovata la domanda di ammissione che egli attribuì alla richiesta di far parte di una cordata che mirasse all’acquisto del Corriere della Sera. La vicenda ha conosciuto in seguito, risvolti e progettualità diverse in base alle indagini che furono condotte dalla magistratura».

Quali i rapporti dell’Ono­revole Sarti con gli altri esponenti della Dc cuneese?
«Cuneo è stato un punto di riferimento continuo, soprattutto nel periodo iniziale in cui il rapporto fortissimo con il territorio gli servì per lanciarsi sul piano nazionale. Non possiamo non sottolineare che quelli erano momenti in cui tutto passava dal consenso locale. Poi il territorio è diventato ancor più rilevante allorché dovette fare il salto governativo, diventando un punto di riferimento per tutta la zona cuneese. Ebbe sempre un rapporto strettissimo con il collegio e con le opposizioni e più in generale con i cittadini. Questo è un dato evidente del cambiamento nel modo di fare politica e del legame tra politica locale e nazionale, un rapporto che da diversi anni è completamente saltato».

Non tutti conoscono quale sia il legame tra l’Onorevole Sarti e la Fondazione Crc…

«Beh, dopo la laurea in Giurisprudenza svolse le sue attività presso la Cassa di Risparmio di Cuneo nell’ufficio studi che proprio in quel momento venne creato. Più recentemente la Fondazione Crc ha preso a cuore la rilettura dei Diari e ha sostenuto le spese editoriali per la pubblicazione dei due volumi».