L’eredità preziosa dell’arcivescovo vicino alla gente

Nosiglia ha concluso il suo mandato a Torino «La città non è un arcipelago di isole separate»

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Non si stancava di ripeterlo, di raccontare del suo papà che quando era bambino aveva perso il lavoro e per lui e la sua famiglia si era aperto un periodo di angoscia e povertà. Monsignor Cesare Nosiglia ha chiuso in questi giorni, dopo 12 anni intensissimi, il suo episcopato: era arcivescovo di Torino dall’11 ottobre 2010. A Torino si è dimostrato particolarmente attento alla pastorale sociale, ai problemi di chi perdeva il lavoro e si ritrovava in mezzo ad una strada, ponendosi accanto alle situazioni di crisi di molte aziende della Diocesi: ha incontrato i lavoratori – Mahle Martor, Olisistem – partecipato alle assemblee, condiviso l’angoscia. Ha celebrato la messa di Natale davanti allo stabilimento di Riva di Chieri dell’Embraco. Con i lavoratori di Riva è stato anche dal Papa. Un calvario, povertà vecchie e nuove seguite dalla Caritas diocesana: i rom, i migranti alle palazzine ex Moi e in montagna, ad Oulx, confine con la Francia, accanto a parroco, prefetto, associazioni.

Nosiglia è stato anche il custode pontificio della sindone. Nell’’ostensione del 2015 chiamò i giovani alla riscoperta delle radici della fede, accogliendo Papa Francesco nel bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco e accompagnandolo nella storica visita al tempio valdese. Seguiranno anni complessi: da vescovo dovrà affrontare la solitudine del lockdown, la messa di Pasqua senza festa, l’accorata invocazione davanti alla Sindone in diretta mondiale, speciale liturgia che rinnoverà nel 2021.

Una delle ultime omelie suona come il saluto alla sua città e uno sprone alla politica locale a stare in mezzo alla gente. È tornato sui temi sempre a lui cari: il lavoro, la povertà, il dovere di stare a fianco degli ultimi. Sempre: «Non possiamo pensare che i problemi dei giovani, delle persone fragili, dei disoccupati, dei profughi non ci toccano. In questi anni, abbiamo dedicato molte energie a combattere battaglie che magari apparivano perdute in partenza, ma non abbiamo mai desistito. Ma non lo abbiamo fatto per questioni di principio, di ideologia o per apparire sui giornali e in televisione. L’abbiamo fatto perché non si poteva tacere». Da qui l’appello al sindaco: «Chiedo di non stare fermo, di non mettersi dietro alla scrivania del Comune, ma di andare nelle periferie, di avvicinare la gente e ascoltarla». «Questo dovrebbe essere l’impegno primario per un sindaco – ha aggiunto il Monsignore – se non c’è questo, non si tiene conto della realtà concreta della nostra popolazione. Bisogna capire dalla gente quali sono i problemi e dare una risposta appropriata. Non solo promesse – ha concluso – ma una adeguata risposta a quello che hanno chiesto».

Tracciando il bilancio del suo mandato, monsignor Nosiglia, ha aggiunto: «Ho sempre ritenuto che il mio primo compito sia quello di illuminare questa vita comune, di far vedere la presenza del Signore in mezzo a noi. La sua via è la via dei poveri, dei miseri, dei senza futuro. Restituire dignità e speranza, condividere la gioia e i beni della terra con tutti coloro che vivono con noi, senza lasciare indietro nessuno: a questo siamo chiamati, come comunità e come città. Per questo – ha ammonito – non possiamo permetterci di essere senza memoria; non possiamo illuderci che la nostra vita si gioca soltanto nel futuro, sulle cose che vorremmo costruire. Il nostro presente è saldamente ancorato nella nostra storia. Ecco perché – ha concluso l’arcivescovo – non possiamo pensare e vivere la città, che è di tutti, come un arcipelago di isole separate». Perché l’emergenza principale evidenziata da questi nostri tempi, prima di tutto, è sociale.