«Giornalista e mamma a mio figlio ripeto: segui le tue passioni»

Il volto femminile del Tg5: «Lasciare i nostri bambini soli per lavoro non è facile, lotto sempre per essere vicina a Fabio. La bellezza? È un valore. Ma se punti tutto su quello, devi sapere che cosa ottieni. Amo le storie umane che ho raccontato in “Vite straordinarie”, mi sono rimaste nel cuore. Non sopporto chi attacca gli altri per avere più follower»

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Elena Guarnieri, ab­bia­mo letto online una sua frase sul difficile mestiere di giornalista-mamma…
«Mi viene da sorridere, perché quella frase in realtà risale a diversi anni fa e poi, così fuori contesto, fa sembrare che io mi consideri un’eroina. Era semplicemente una risposta a Chiara Ferragni che aveva avuto il suo primo figlio e, riprendendo a viaggiare per lavoro, si sentiva in colpa. Io mi trovavo a Roma per il tg, avevo un groppo in gola perché il mio Fabio mi aveva appena confidato un problema, si sentiva escluso dagli amici. Cose che succedono quando si cresce. Avrei voluto essere con lui, abbracciarlo, e mi sentivo colpevole per non poterlo fare. Così ho risposto di getto, volevo sottolineare che capivo quanto fosse difficile in quella situazione la gestione emotiva dei figli, prima che fisica, tra distacchi e rinunce».

Quanti anni ha ora suo figlio?

«Quasi 13. Sia chiaro, noi siamo privilegiate. Però viviamo in metropoli, non abbiamo le famiglie di una volta e dobbiamo delegare, sempre avendo la fortuna di poterlo fare. Amo il mio lavoro, Fabio sa quanto. Ci dà da vivere. Le eroine sono altre, però mio figlio l’ho cresciuto da sola. Sono presente il più possibile, lui dice “rompiballe”».

I ragazzi vivono una realtà complessa che spesso li ob­bliga a essere velocemente maturi. È d’accordo?

«Nel mio caso, Fabio è maturo soprattutto emotivamente. Mi colpisce quando mi parla di diversità. Lo abbiamo sempre fatto, non solo durante San­remo. Anche lui, in fondo, ha una sua unicità. Ma per le cose pratiche è un bambinone. Gli ho insegnato a rispettare gli altri, anche quando non se ne condividono le scelte. Lui mi ha parlato di Drusilla, mi ha chiesto perché un uomo che si veste da donna poi si traveste da Zorro. Ho ribadito: se non riesci a capire, comunque rispetta».

Lei legge il telegiornale, che idea ha del mondo in cui cresceranno i ragazzi?
«Premesso che l’uomo si adatta sempre a tutto, da una parte preoccupano le immagini dei branchi di ragazzini (e ragazzine) violenti. Questo è un fenomeno italiano, non solo milanese o torinese, era già strisciante ed è esploso con la pandemia. Non va sottovalutato. C’è sempre un leader violento di forte personalità che trascina gli altri, poi ci sono le immagini fatte girare su Internet. Servono le istituzioni. Mancano gli oratori, la scuola ha un ruolo fondamentale e deve fare da sponda alle famiglie. Dall’altra parte, però, mi si apre il cuore quando vedo queste ragazzine con la faccia pulita, quelle a cui, a volte, chiedo di dare una mano a mio figlio negli studi, piene di sogni e con tanta voglia di fare».

Quale valore vorrebbe trasmettere a suo figlio?

«Più che il senso di competizione, noi genitori dovremmo spiegare cosa significa avere passione e amore. Glielo dico sempre: Fabio, segui la tua passione. Io ho fatto così. Ho cominciato nello spettacolo ma ho fatto di tutto per il giornalismo, nonostante sapessi che avrei guadagnato di meno. Tutto ruota attorno alla passione, che poi è amore, rispetto per se stessi e per gli altri. Gli insegno a non essere mai cialtrone e superficiale. Chi lo è, fa del male ai propri sentimenti. Si può essere buoni o pessimi garagisti, oppure buoni o pessimi professori».

E a proposito di essere famosi?
«Pensi che anni fa, quando qualcuno mi riconosceva, Fabio interveniva e diceva: ma non è lei, è sua sorella! Il vero successo non è essere riconosciuti ma poter fare qualcosa di buono».

Ma non c’è troppa ipocrisia nel mondo?
«Cerco sempre di non guardare ciò che non mi piace. Lo dico anche a mio figlio: guarda e lavora su te stesso. Tu sei il tuo strumento migliore. Ho conosciuto Josemaria Escriva de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei, che diceva: santifica il tuo lavoro quotidiano. È quello che cerco di trasmettere a Fabio: abbi dignità, sii coerente con le cose che dici. Se riesco nel mio intento, qualunque cosa la farà bene e darà al mondo un contributo positivo».

Nel giornalismo televisivo quan­to conta come si appare?
«Io ci metto la faccia, per il solo fatto di andare in onda potrei accontentarmi della presunta celebrità. Invece, lo giuro: ogni errore lo vivo malissimo, non voglio prendere in giro chi mi guarda. Cerco di essere sempre preparata, anche se nella testa magari ho una tempesta, se sono preoccupata per mio figlio, devo essere sempre concentrata. Certo, l’immagine ha una sua valenza. Ma non cambio il mio vestito per andare in onda, per me ormai è una divisa. Conta di più sapere cosa devo dire».

Diletta Leotta ha detto che la bellezza per una donna che lavora, per assurdo, può essere un ostacolo.
«Dipende da come ti poni. Se punti tutto sulla bellezza, poi non puoi pensare che chi ti vede colga in primis altri valori. Se scendi la scalinata di San­remo e mostri la farfallina, indirizzi lo spettatore. La bellezza è un valore, è un plus e apre molte porte. Ma se punti solo su quello, sai cosa ottieni in cambio. Mio padre era ossessionato dal rischio che io partecipassi a qualche concorso di bellezza. Aveva ragione. Alla fine, ho sempre e solo voluto diventare una giornalista. A Tele­Milano, quando ero giovane e belloccia, lavoravo con Bra­mieri e Vianello, lo facevo per avere qualche soldo mentre studiavo. Al tempo non c’erano molte giornaliste nei tg. Ci sono poi donne che hanno capitalizzato la loro bellezza, come Cindy Crawford o Claudia Schiffer, ma parliamo di un altro pianeta».

Lei ha condotto e curato programmi come “Vite straordinarie”: cerca nelle storie di vita esemplari quella passione a cui accennava prima?
«Per me è tutto. I momenti più belli li ho vissuti viaggiando per le biografie di giganti come Cas­sius Clay, Maradona, Madre Teresa o Papa Giovanni, cercando testimonianze dirette. Ho fatto incontri straordinari. Ad esempio, quella volta che ho parlato con la migliore amica di Marilyn Monroe. O quando sono stata a Calcutta per Madre Teresa: un’esperienza che mi ha sconvolto. Andammo nei lebbrosari e sulle fogne dove le madri partorivano figli che finivano negli orfanotrofi e dopo otto anni, se nessuno li adottava, direttamente nelle strade. Certo, c’è l’adrenalina della diretta, la conduzione del tg, una squadra come quella del Tg5: tutto bellissimo. Però quel lavoro fa la differenza, ti restano dentro pezzi di altre vite. Non sono mai stata e mai sarò una cronista che mette il piede nella porta per strappare confidenze personali o per fare uno scoop. Attacchi sui social? Per fortuna, pochi. A parte quelli dei “no­vax”, a cui ho risposto segnalando le minacce alla Polizia Po­stale. Non sopporto l’aggressività, gli attacchi in nome dei follower. Per fortuna, c’è anche chi sa andare oltre lo schermo».