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«Il futuro bisogna costruirselo da sé»

Chiara Cavalleris, caporedattore di Dissapore.com, è una voce autorevole del giornalismo gastronomico

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Scorrendo le pagine social di Chiara Cavalleris, gastronoma di origine albese ora stabilitasi a Torino, vien voglia di conoscerla. E non solo per farsi accompagnare nelle migliori trattorie o nei luoghi cult dello “street food”, svelati su Dissapo­re.com, il sito dedicato a cibo, chef e ricette, di cui Chiara è una delle colonne portanti, ma anche perché la sua energia, cultura e ironia sembrano davvero contagiosi. Nella bio di Instagram si legge che è una giornalista, appassionata di birre artigianali e gastronoma che, dopo una triennale alla Sapienza di Roma in scienze e tecnologie della comunicazione e una laurea magistrale all’Uni­versità di Scienze Ga­stro­nomiche, cinque anni fa è approdata al sito per gourmand che recensisce il nuovo, il bello e il migliorabile del cibo in Italia.

Chiara, come è andata l’avventura con Dissapore?

«Dopo anni di lavoro come giornalista in una testata locale e l’esperienza all’Università del Gusto, ho iniziato a collaborare con Dissapore, nato nel 2009 come blog, e quattro anni fa ne sono diventata caporedattore. Attualmente il sito si occupa di gastronomia a tutto tondo. All’interno della redazione, dislocata in tutta Italia, gli autori raccontano la ristorazione del loro territorio con recensioni di prima mano, ma danno ampio spazio all’attualità del mondo del “food” che va dal gossip sugli chef, alle novità di prodotto, ai “trend food” fino alla politica agroalimentare».

I vostri collaboratori saranno quindi altamente specializzati, immagino.
«Esatto. Chi si occupa della comparazione di prodotto nella nostra rubrica storica “A prova di assaggio” è un’analista sensoriale; chi recensisce le pizzerie è un esperto di lievitati e così via».

Uno degli intenti dichiarati di Dissapore è quello di fornire ai lettori recensioni sincere dei prodotti e dei locali provati. In uno degli ultimi post si parla ad esempio di Mercato Centrale, la “food hall” aperta nel cuore di Porta Palazzo, nell’ex Pa­laFu­ksas recuperato, che of­fre, a due passi dallo storico mercato torinese, una serie di proposte gastronomiche. Nel vo­stro articolo non siete timidi nel citare i locali che secondo voi non funzionano. Come si scrive una recensione negativa efficace?
«Si tratta, sostanzialmente, di essere onesti. Il nostro settore è dominato dalle “cene stampa” in cui la cena viene offerta ai giornalisti, per questo raramente si leggono recensioni negative. Il nostro approccio è diverso, nessuna delle nostre recensioni è frutto di una cena offerta. Rimborsiamo le cene dei collaboratori proprio per essere indipendenti, per questo viene naturale esprimere le eventuali critiche con serenità. Ci sono poi dei limiti dati dalla soggettività, per questo bisogna segnalare accuratamente che quello che è scritto non è assoluto. A meno che non si tratti di qualcosa di oggettivabile, come la mancanza di scontrini emessi, ad esempio. Esiste poi un’altra componente. I luoghi popolari come Mercato Centrale richiedono una re­sponsa-bilità maggiore poiché una critica a un luogo al centro dell’attenzione non ha solo valore per il lettore o per l’imprenditore, ma acquista un valore generalizzato che coinvolge tutto quel genere di locale. Può essere un’ottima fonte di migliorie, se i suggerimenti vengono colti. Non siamo abituati a leggere critiche, soprattutto se si tratta di nuove aperture di realtà che coinvolgono diversi imprenditori. Invece sono necessarie, per migliorare».

Un esempio di critica negativa costruttiva?
«Qualche anno fa ci fu la questione della pizza di Cracco dal costo per molti spropositato. Io la provai e feci una recensione dicendo che la pizza era molto buona, ma avevo trovato per accompagnarla solo birre in­dustriali. Il mio argomento era questo: se nulla è lasciato al caso, perché non trovo qui una selezione di birre che parlino di un territorio? Ecco, non so se sia stato il mio articolo o meno, ma una settimana dopo il locale offriva anche birre artigianali. Talvolta gli imprenditori gastronomici sono anche un po’ personaggi e accettare le critiche senza prendersela è necessario. Oscar Farinetti, ad esempio, è uno che non si offenderebbe mai per un commento negativo. Sa che questo è il nostro ruolo, semplicemente».

Qual è stato il valore aggiunto derivante dall’aver frequentato l’Uni­versità di Scienze Gastro­nomiche?

«Come tutte le facoltà umanistiche l’Unisg ha questa componente di “quasi nebulosità”, ma è uno spazio che ognuno deve riempire con un proprio percorso personale orientato alle proprie passioni. Il futuro bisogna stabilirselo un po’ da sé. L’Unisg dà una cultura altamente verticale sul cibo, un settore veramente olistico. Ma sa essere anche molto specifica: difficile diventare gastronomi senza nozioni di diritto alimentare, altrimenti non si sa leggere un disciplinare. La speranza è che un’università con queste caratteristiche possa essere statale, cioè per tutti».

Secondo la sua esperienza, dove sta andando il mondo del cibo nelle zone Unesco piemontesi?
«Abbiamo assistito all’ascesa del cosiddetto “fine dining”, ovvero della cucina raffinata. Fino a qualche anno fa nelle Langhe la classicità era l’unica opzione possibile. Oppure esistevano i ristoranti stellati, per pochissimi. Mancavano i luoghi che il turista gastronomico vuole trovare, dove raffinatezza e territorio si incontrano per esperienze uniche e da ricordare. Abbiamo assistito negli ultimi anni a un ampliamento delle proposte per la fascia medio-alta, per gli appassionati di cibo, disposti a spendere per una esperienza gastronomica rilevante, a cui si sommano i sempre più numerosi stranieri che frequentano il nostro territorio».

Altre novità?

«Belle enoteche che hanno aperto anche le loro cucine. Locali in cui gustare “specialty coffee”, scegliendo tra diverse opzioni e tostature di caffè. E microbirrerie artigianali in cui la birra può davvero parlare del territorio. Senza dimenticare le gelaterie che offrono un prodotto di livello superiore, quello che un turista in Italia si aspetta di trovare. Ora venendo nelle Langhe si gode di un’offerta davvero ampia che va dalle classicissime “piole” fino alle delizie pronte a soddisfare turisti dai gusti cosmopoliti e raffinati».

BaNNER
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