Cuneo, a Scrittorincittà Carlo Verdelli ha presentato il suo ultimo lavoro

Domenica 21 novembre l’editorialista del Corriere della Sera, ha presentato il suo libro “Acido. Cronache italiane anche brutali” (Feltrinelli editore), presso la Sala San Giovanni con Ettore Boffano

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Il sottotitolo è legato a un’intervista a Jacopo Melio, attivista per i diritti civili, nato con una sindrome rara e dall’anno scorso consigliere regionale per il Pd in Toscana. In occasione di un’intervista gli chiesi: quanto pesa? Quanto è alto? Lui mi disse che pesava 25 kg e misurava più o meno 1,30 m. Questi due particolari, in un pezzo giornalistico, fanno la differenza perché permettono di visualizzare la persona, o un edificio, una cosa… Lui mi disse di aver fatto parecchie interviste, ma di non aver mai incontrato qualcuno così brutale come me. Gli risposi: brutale sì, ma anche preciso. La brutalità, che poi non è brutalità ma curiosità per il dettaglio, rende veloce la capacità di immedesimazione del lettore”.

Questo è il metodo graffiante, ma diretto, della scrittura giornalistica per Carlo Verdelli (Milano, 1957), editorialista del Corriere della Sera, già vicedirettore di Epoca e del Corriere, e direttore di Sette, Vanity Fair, Gazzetta dello Sport e La Repubblica, da dove è “stato licenziato in 8 minuti dal nuovo editore del gruppo Gedi subentrato ai De Benedetti” come ha ricordato lui stesso.

In questo volume, presentato con Ettore Boffano a Cuneo nel circuito della rassegna di Scrittorincittà 2021 domenica 21 novembre, Verdelli raccoglie in un mosaico soggettivo alcuni articoli già usciti, insieme ad altri brani inediti. Allo stesso tempo, si trova nel libro una vasta panoramica sulle idee e le memorie di un giornalista elegante e brutale allo stesso tempo. Infatti, come ricorda l’autore, la professione del cronista è fatta di raccontare storie con dovizia di particolari, perché sono i “dettagli che fanno capire perfettamente una storia, sono i dettagli che fanno sì che la storia resti nella memoria del lettore come nel caso dell’intervista a Jacopo Melio”.

Verdelli, tra una risposta e l’altra alle domande di Boffano, ha letto alcuni brani del libro e ha spiegato i motivi che lo hanno portato alla scelta di riportare alcune vicende rispetto ad altre, da Enzo Tortora a Rosa e Olindo, da Alex Zanardi a Patrick Zaki passando per il “bambino salmone”, da Vallanzasca alla coppia dell’acido della Milano bene. Casi chiusi, impregnati di simboli, ma rimasti spesso con domande senza risposta, vite drammatiche e spezzate, carnefici o vittime, in pochi minuti. Ricostruisce tramite un filo conduttore tra queste storie, la professione che è stata, che è oggi e che dovrebbe essere del giornalista, del cronista che va sul posto, sulla strada, e osserva, esamina, indaga e riporta la storia nel modo più freddo e obiettivo possibile. Ma si sa, non sempre ci riesce e il rischio è quello di indirizzare il lettore verso una presa di posizione. Questo è anche il mestiere di un raccontastorie, con un ruolo importante nella società, quello della sentinella. Una sentinella che purtroppo, oggi, sta scomparendo. Ricordando i ruoli, le dinamiche e la vita all’interno delle redazioni, Verdelli si sofferma anche sul nuovo modo degli editori di gestire un giornale e i giornalisti, rispetto ad altri paesi dove la professionalità viene invece incoraggiata. Solo un giornalismo di qualità – come dice l’autore rispondendo ad una domanda del pubblico – di spessore, di testimonianza, di impegno reale sul campo, e non virtuale, di confronto, potrà salvare una professione che in questi anni sta soffrendo molto.