Alto contrasto | Aumenta dimensione carattere | Leggi il testo dell'articolo
Home Articoli Rivista Idea «Spero che si smetta di fare spallucce»

«Spero che si smetta di fare spallucce»

L’impegno civico di Leo Gullotta, celebre attore, comico, doppiatore e imitatore

0
142

Vuol dire seno, min­na, ma an­che grembo, ma­dre e quindi ter­ra. “Minnazza” è la generosa terra di Sicilia, la grande madre raccontata da Leo Gullotta in un recital che è ormai repertorio, a ogni ripresa un po’ più familiare e accogliente, come un in­contro tra vecchi amici che ritornano e nuovi invitati da fare sentire a casa loro, magari seduti in terrazza a condividere una granita o un bicchiere di vino, con nell’aria le note di fisarmonica e il profumo di gelsomino, a chiacchierare in silenzio con il padrone di casa. Sì, in silenzio, perché intrecciati ai suoi ricordi di vita vicini e lontani ci sia­mo anche noi, e anche voi che non siete ancora venuti. C’è un po’ di storia d’Italia e non solo d’Italia perché noi italiani ne abbiamo fatta di strada, per conoscere, per vivere e per sopravvivere, ci sono i nostri miti fondanti che in Sicilia hanno ancora il vigore e i colori di un tempo e resistono indenni tra le pietre di un tempio o di un teatro greco, mentre il mondo di fuori annega nell’incuria incolpando la natura che non ce la fa più.

Vorrei cominciare con un pensiero rivolto alla sua città, Catania, che ha passato giorni davvero brutti e difficili.
«La crisi climatica ci sta di­cendo che per l’umanità è codice rosso. Negli anni c’è stata poca informazione e si è fatto spallucce su un tema importante dicendo che non spettava a noi e invece ci riguardava e riguarda tut­ti. Via Etnea (la strada principale di Catania, nda) è una strada in discesa: l’acqua dovrebbe defluire naturalmente e invece era allagata».

Lei cosa si augura?
«Mi auguro che si smetta di fare spallucce, subito. Ci si deve muovere oggi, perché non c’è più tempo, la situazione è grave. Mi auguro che si costruiscano paratie stabili invece di muri. Il protocollo di Kyoto non ha prodotto nulla, Trump lo ha bloccato definitivamente. Capitol Hill è la chiave e menomale che Biden sembra interlocutorio. Con il G20 qualcosa si è mosso, forse si è portato a casa qualcosa, speriamo».

In Italia?
«Il problema è dappertutto l’arroganza del potere, anche in Italia. Ci sono politici che non han­no ancora fatto pace con la loro storia e gridano con i Vox in Spagna “sono io” appoggiandosi alla peggiore immaginazione. La Lega invece fa parte del Governo ma appena esce dal Parlamento dice e fa cose contrarie al Go­verno. C’è un residuo di fa­scistizzazione dentro i cor­pi. Si omaggia Bolsona­ro, l’Un­gheria di Orbàn, c’è all’interno del parlamento una zona pericolosa che ap­plaude alla tagliola. Con l’affossamento del Ddl Zan il Parlamento ha rinunciato a fare il suo lavoro. Ma ora i cittadini cominciano a capire».

E la sinistra che ruolo ha avuto?

«La sinistra si era allontanata dalle piazze, dalle fabbriche, dal­la gente. La divisione interna, la formazione di scie nuove e diverse anche al­l’in­terno dello stes­so gruppo genera insicurezza. Mi fa male pensare che oggi gli operai siano con la Lega».

“La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cit­­­­tadini”. Nello spettacolo si cita anche Leonardo Scia­scia.

«Sì, e la sua “teoria della palma”, esposta ne “Il giorno della civetta” con cui spiega l’espansione della mafia al nord, il riferimento a un modo di pensare che non è solo confinato al­la Sicilia. Come la linea della palma, cioè il clima propizio alla vegetazione della palma, secondo gli scienziati, sale verso il nord, di cinquecento metri ogni anno, Sciascia scriveva che l’Italia degli scandali era già oltre Ro­ma».

L’Italia degli scandali. A proposito si ricordano i giudici Fal­cone e Borsellino e si levano in piedi molti eroi piccoli e grandi.
«L’Italia ha la me­moria corta e ricordare è importante, ma continuamente, non solo celebrare una vol­ta all’anno. Ricor­dare attraverso i racconti dei grandi autori, attraverso i miti, gli eroi, appunto».

Allora ci racconti della sua amicizia con Giuseppe Fa­va, l’intellettuale ucciso da Cosa Nostra nel 1984.
«Sono cresciuto con lui da ragazzino, al Teatro Stabile di Catania, dove recitavano Salvo Randone e Turi Ferro. Ho imparato da tutti, anche dal siparista. Mi chiamavano Gullottino. Pippo era un amico, un giornalista, un drammaturgo, sempre sorridente e propositivo. A lui si deve la prima inchiesta, negli anni sessanta, sulla mappa siciliana dei luoghi e delle persone mafiose. Il mandante del suo assassinio fu uno di quei cavalieri dell’Apocalisse che lui si era permesso di toccare. Gli spararono appena uscito da teatro, in via Stadio, ora via Giuseppe Fava. Il 5 febbraio ancora oggi gli amici si radunano lì e portano fiori eppure non si è mai visto un sindaco, un rappresentante delle istituzioni».

Davvero?

«Evidentemente dà ancora fastidio e l’indignazione è di maniera, non radicata come dovrebbe. Manca il coraggio e forse anche un’onestà di fondo».

L’onestà. Mi viene in mente uno dei suoi tanti Piran­dello, “Il piacere dell’onestà”, diretto da Fabio Gros­si, come “Minnazza” e molti altri spettacoli di cui è protagonista. Un personaggio vero, quello di Angelo Baldovino, persino disarmato, che compie un irreversibile percorso di moralità. Come va affrontato, oggi, Pirandello?

«Pirandello non vuole il pirandellismo ma la verità. E recitando con il ritmo giusto, senza sputare le perle, la verità viene fuori. Le faccio un esempio. Oggi per interpretare Liolà si sceglie spesso un bel giovane, un attore prestante, mentre Pi­randello scelse Angelo Mu­sco, esile e bruttino, perché voleva che emergesse la poesia che c’è nel contadino, non nella bellezza convenzionale».

Il convivio in terrazza, come lei stesso ha definito “Min­nazza”, comincia e finisce con i versi del poeta dialettale palermitano I­gnazio But­titta, che lei recita quasi cantando. “Lu trenu di lu suli” è il racconto struggente dei mi­granti di Marcinelle e della tra­gedia che tutti sappiamo. Un pensiero sui migranti di oggi.

«Si riassume nella parola “dignità” che deve essere per tutti. L’Europa si deve decidere a dare ai migranti la di­gnità che meritano e i po­litici dovrebbero leggersi le cose che dice Papa Fran­cesco».

Veniamo alla sua “carosanza” felice, l’adolescenza del­l’ul­timogenito di sei figli, mamma casalinga e papà pasticcere.
«C’era un forte senso di comunità, si era felici di riprendersi la vita, ci si scambiava il cibo dai balconi e c’era una capacità di sdrammatizzare le piccole cose che non c’è più».

Da figlio di pasticcere, qual è il suo dolce preferito?

A parte che sono il testimonial di un famoso prodotto dolciario da ben 27 anni, più di Nino Manfredi con il caffè, ricordo la crema che la domenica mi preparava mio padre, le mie dita sul tavolo di marmo e la pentola da leccare fino alla fine».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco

BaNNER
Social media & sharing icons powered by UltimatelySocial