«Il miglior modo per far crescere è dare fiducia»

Giuliana Cirio spiega come interpreta il delicato ruolo di direttore di Confindustria Cuneo

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Certe interviste puntano a fornire la fotografia, qui e ora, dell’intervistato, permettendo a chi legge di intuirne i contorni, professionali e umani. In altri casi, invece, ambiscono a tracciare la mappa della persona intervistata, non limitandosi a certificare la posizione attuale, ma provando a delineare un percorso più ampio.

Colloquiare con il direttore di Confindustria Cuneo Giuliana Cirio puntando a ottenerne soltanto una fotografia, avrebbe avuto il sapore dell’occasione persa, a maggior ragione dopo aver assistito al recente in­contro avvenuto ad Alba nel quale sono state messe a confronto otto storie di management di successo al femminile. Tra queste, anche la testimonianza di Giuliana Cirio che, con estrema franchezza, ha raccontato di sé e del proprio percorso, durante il quale è stata determinante la voglia di mostrare il proprio valore, una cifra che contraddistingue ancora il suo “modus operandi” e che l’ha resa, parole sue, «Abbastanza aggressiva in quelle situazioni in cui credo di poter dare il meglio. Ho lottato molto per questo posto da Direttore, penso di avere caratteristiche adatte a ricoprire questo incarico in un momento in cui la versatilità e la comunicatività sono fondamentali per la rappresentanza».

Partiamo da qui, dal suo sentirsi adeguata al ruolo. Diret­tore Cirio quali caratteristiche peculiari si riconosce?
«Presto molta attenzione ai problemi che mi vengono sottoposti e cerco di mettere insieme tante forze diverse per ottenere il meglio. Mi piace molto far crescere le persone che lavorano con me. Rifletto e inviduo la direzione in cui andare e come arrivarci, ma i veri esperti di normativa d’impresa sono i miei collaboratori. Solo loro quelli che sanno».

Il fatto di essere donna la rende un capo migliore?
«Non penso che ci sia differenza tra capo donna e capo uomo; è come eserciti il ruolo che conta. E il ruolo, in questo caso, non è di capo, ma di coordinamento. Se pensi di essere capo, avrai sempre un altro capo sopra di te».

In questo momento storico, se avesse un figlio prossimo a entrare nel mondo del lavoro che consiglio gli darebbe?
«Cercherei di fargli capire il valore dell’impegno, a prescindere dal tipo di professione. E poi farei in modo che l’inglese fosse fin da piccolo la sua seconda lingua e più avanti negli anni lo spingerei a girare il mondo, perché la mente aperta è un vero dono di Dio».

È un “dono di Dio”, nel senso che deriva da Dio e quindi serve una predisposizione, oppure dipende dal percorso?
«Dipende dal percorso che fai: conosco tanti piccoli imprenditori nati in paesi di 300 anime che hanno una mentalità talmente aperta ed evoluta da stare al passo con i grandi imprenditori storici».

A proposito di imprenditori di successo, dal suo punto di os­servazione, ve­de elementi comuni?

«Secondo me il tratto distintivo è la luce negli occhi di chi vuole cambiare qualcosa e lasciare un segno. Hanno un fuoco di autorealizzazione e di voglia di cambiare la realtà che li circonda, di incidere con un nuovo prodotto, con un nuovo brevetto, con una nuova idea».

“Scegliere di cambiare” era lo slogan dell’ultima Assem­blea Nazionale di Con­fin­du­stria. In tempo di Covid, però, il cambiamento è più una ne­cessità che una scelta, non crede?
«Io penso che ci sono scelte di cui si farebbe volentieri a meno. Come dicono le neuroscienze, il cervello è costruito per ricercare la stabilità; cambiare non gli piace, perché lo costringe a un adattamento che è un atto energivoro e quindi faticoso. Lo si vede con la transizione ecologica. La consapevolezza che bisognasse fare qualcosa è una conquista recente, dopo decine d’anni in cui ci siamo comportati sempre nello stesso modo, senza porci troppe domande sulla bontà del nostro atteggiamento. Im­provvisamente in pochissimi mesi è emersa la necessità della scelta, per esempio tra auto elettrica e motore Diesel. Secondo me il Covid ha avuto lo stesso effetto: ci ha posto di fronte alla necessità di scegliere se essere consapevoli di fare parte di un’umanità con un destino comune oppure se pensare ai fatti propri».

Se la misura di questa consapevolezza è la diffusione del green pass, la Granda è piuttosto avanti…
«La nostra provincia ha reagito in maniera esplosiva al do­po Covid, sia dal punto di vista produttivo che da quello della consapevolezza degli imprenditori sull’utilizzo del green pass che noi ribadiamo con forza nonostante sia ogni tanto impopolare, ci siamo dimostrati degli ottimi cittadini, oltre che imprenditori illuminati, come dimostra il fatto che il numero di vaccinati e di gren pass della Granda sono superiori a quelle delle altre province».

Sarà anche perché i cuneesi un po’ somigliano a questo Governo, molto concreto, e senza tanti fronzoli…
«Diciamo che si va dritti, lasciando spazio al dibattito, ma poi procedendo lungo la linea stabilita».

Nell’incontro al femminile di qualche giorno fa ha detto che le piace mettere le sue capacità a servizio della crescita di tutti. Pensa di potersi spendere, un giorno, per la collettività occupando un ruolo diverso?

«Quello che sento dentro è una specie di “fuoco sacro”, mi dà energia pensare di poter di mettere le mie capacità al servizio degli altri. Non posso dire che non farò mai qualcosa di diverso da ciò che sto facendo ora. La politica mi appassiona, ma ho un fratello “ingombrante” (Alberto, presidente della Regione Piemon­te, ndr). Di certo mi piacerebbe occuparmi della cosa pubblica, non so in quale veste e contesto».

A chi si sente di dire grazie?

«A tutte le persone che mi hanno dato fiducia, cambiandomi così la vita. Il mio è un messaggio per chi ha qualcuno a cui può dare quella fiducia che serve per lavorare sulle cose in maniera libera. Senza di essa, sei sempre compresso in una gerarchia o nel timore di essere la persona non adatta. Quan­do ti dicono di fare quello che pensi, perché va bene, diventi te stessa e non ti ferma più nessuno».