«Zanardi l’esempio non bisogna mai arrendersi»

«Da San Rocco di Bernezzo a Tokyo per conquistare la medaglia d’oro»: l’emozionante racconto di Diego Colombari

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La pioggia, il pugno alzato al cielo, un sogno che si realizza. Il 2 settembre 2021 è un giorno che difficilmente verrà dimenticato, entrato ormai di diritto nella storia dello sport cuneese. È la data di un trionfo storico: quello di Diego Colombari, che ai Giochi Paralimpici di Tokyo ha conquistato una medaglia d’oro fantastica, in staffetta con Paolo Cecchetto e Luca Mazzone, nella prova di Team Relay di handbike sulla pista Fuji International Speedway, al termine di una gara incredibile, segnata dal maltempo e da una corsa all’oro che ha visto gli italiani essere sempre protagonisti. Nato a Torino, divenuto cu­neese a tutti gli effetti dopo il trasferimento a San Rocco di Ber­­­nezzo, avvenuto nel 2014 per inseguire il sogno di diventare campione, Diego ha legato per sempre il suo nome allo sport locale, nel ruolo di portacolori dell’associazione “Passo” di Cuneo. Come lui nessuno mai, perché d’ora in avanti farà parte della ristretta cerchia dei medagliati olimpici provenienti dal Piemonte e perché nessun atleta partito dalla Granda era mai riuscito a raggiungere il primo posto alle Para­limpiadi. Lo abbiamo con­tattato poche ore dopo il trionfo nipponico, per conoscerne lo stato d’animo e le emozioni, rivivendo le tappe che lo hanno portato fino al recente successo.

Quali sensazioni si provano in momenti come questo?

«È difficile descriverle, probabilmente ci vorranno alcuni giorni. La tensione era alta, perché era una gara che sentivamo tutti e perché l’avevamo preparata a lungo con lo staff azzurro. Sapevamo che era la nostra grande occasione e che quell’oro poteva essere nostro, per cui avevamo dato davvero tutto negli allenamenti per essere pronti. Poi, arrivati al giorno tanto atteso, ecco la pioggia che ha scombinato tutti i nostri piani…».

E che gara è stata?
«Una prova inaspettata e forse per questo ancora più epica. Nessuno avrebbe potuto immaginare precipitazioni così forti e, quando l’abbiamo vista al mattino della gara, siamo rimasti di stucco. Ave­vamo provato le traiettorie sull’asciutto, ma sul bagnato è tutto diverso, per cui abbiamo dovuto stravolgere i pia­ni, anche perché nel giro di ricognizione era praticamente impossibile fare delle valutazioni precise sulla pista, essendo piena zeppa di altri atleti».

Cos’è stato decisivo?

«La nostra forza e la nostra lucidità. Abbiamo preso vantaggio nel primo “run” e dal secondo abbiamo capito che occorreva gestire per non gettare al vento la possibilità di vincere una medaglia. Ci sia­mo concentrati, anche perché sapevamo che l’errore di uno di noi avrebbe compromesso anche la corsa degli altri, e alla fine abbiamo potuto festeggiare insieme».

A chi dedica questo trionfo?

«Sicuramente alla mia famiglia, a mia moglie Giulia e a mio figlio Leandro, ma anche a tutti noi della Nazionale, che abbiamo lottato per conquistare questo oro. E poi, ovviamente, ad Alex Zanardi: il suo esempio mi ha spinto a scegliere questo sport e a lavorare ogni giorno per migliorarmi ancora, sognando un giorno di essere come lui. La sua disavventura ci ha segnati, spingendoci a dare il massimo e, anche se non era con noi in Giappone, lo sentivamo vicino nei mo­menti cruciali della gara».

Alla sua prima partecipazione agonistica, nel 2010, avrebbe mai pensato di arrivare un giorno qui?

«Sicuramente non avrei mai immaginato tutto questo. All’inizio, per me l’handbike era soprattutto un passatempo da sfruttare per mantenersi in forma dopo il lavoro. Quando nel 2014 capii che era ciò che volevo, non ci ho pensato su: ho lasciato la mia professione e mi sono dedicato anima e corpo a questa di­sciplina, anche grazie al sostegno di mia moglie. La medaglia che porto oggi al collo è il coronamento di tali sacrifici».

Come si arriva a questi livelli?
«Servono tre ingredienti: passione, dedizione e costanza. Con il giusto mix, anche se non è scontato, i risultati possono arrivare».

Ora il suo nome è nella leggenda, accanto a quello di altri grandi cuneesi come Stefania Belmondo e Mau­rizio Dami­lano, che come lei hanno vin­to un oro olimpico. Che effetto le fa?

«È qualcosa di davvero emozionante e gratificante, anche perché non sapevo di essere entrato in un gruppo così ristretto, composto da campioni leggendari. Credo che sia un successo storico anche perché è il primo nelle Para­limpiadi per la provincia di Cuneo, ottenuto, inoltre, al termine di una corsa davvero pazza, che gli appassionati ricorderanno a lungo».

Il prossimo obiettivo?

«Non nascondo che sto già pensando a Parigi 2024. L’o­biettivo primario sarà quello di confermarsi, anche se non sarà facile: la concorrenza è agguerrita, ma con il successo paralimpico, che bissa quello ottenuto al Mon­diale dello scorso giugno, abbiamo dimostrato di poter vincere anche quando partiamo favoriti. Ora, un po’ di meritato riposo e poi ripartiremo».

La spedizione paralimpica dell’Italia si è chiusa con il record storico di 69 medaglie conquistate. Significa che il nostro Paese è più attento alle disabilità?
«L’Italia è a buon punto, ma non ci si può fermare. Come per un atleta, su questi temi è importante provare a migliorarsi ogni giorno per stare al passo e, perché no, talvolta anche per anticipare i tempi rispetto agli altri stati».