«Mi sento dentro la scrittura di cesare pavese»

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Al grande pubblico è diventato famoso per quel successo mediatico che fu Elisa di Rivombrosa, dove interpretava il conte Fabrizio Ristori, ma in realtà Alessandro Preziosi vantava già allora un fitto curriculum cominciato con Shakespeare e i tragici greci. Ma si sa, la popolarità data dal piccolo schermo è una di quelle armi che, se le sai impugnare dal verso giusto, fanno la differenza. Eccome.

E così dopo il clamore si può tornare al teatro con rinnovata carica e una nuova “allure”. Se poi si è per sorte non scontata un attore pensante, può succedere che le proposte arrivino da sé e vengano non solo accolte di buon grado, ma a lungo coltivate.

È il caso di Cesare Pavese per Alessandro Preziosi che, nel 2008, nel centenario della nascita, venne chiamato a inaugurare il Poesiafestival di Modena con un recital dedicato: si intitolava “Il mestiere d’amare” e ripercorreva, attraverso poesie e lettere autografe, il complicato rapporto dello scrittore con le donne e con la solitudine.
E per Preziosi fu folgorazione. L’inizio di un viaggio che dura tuttora.

Alessandro, parliamone…
«La mia devozione per Pavese scrittore comincia come devozione nei confronti dell’uomo, conosciuto attraverso i libri e le poesie, e consolidata da piccoli dettagli che vi ritrovo ogni volta che lo leggo e diventano ricorrenti. Un po’ come certe note e certi accordi per i musicisti. C’è una coincidenza di introspezione. I suoi contesti, gli scenari, i personaggi mi riguardano e mi toccano come raramente mi è successo con altri libri e autori. Gli sono grato e mi sento dentro le sue cose, dentro la sua scrittura».

Veniamo a “La luna e i falò”, il suo ultimo romanzo che lei leggerà nella riduzione di Tom­maso Mattei con le musiche di Ezio Bosso il 9 settembre prossimo al Pavese Festival.
«“La luna e il falò” rappresenta il suo testamento letterario, il punto di arrivo di un percorso letterario e umano intenso e travagliato verso una maturità e una consapevolezza. Non condivido le critiche alla staticità, all’involuzione dei personaggi. Per al­cuni la maturità coincide con un momento di svolta, per altri, come per Pavese, è la consapevolezza dell’incapacità di vivere la propria vi­ta, di affrontare in maniera pirandelliana ciò che gli altri pensano e pretendono da noi».

Lo scorso anno sono stati pubblicati sotto il titolo “Il taccuino segreto” (Nino Ara­gno editore) gli appunti rinvenuti subito dopo la morte, appunti peraltro già pubblicati da Lorenzo Mondo su La stampa nel 1990, suscitando grande scalpore e controverse opinioni riguardo al fatto che Pavese si mostrasse velatamente accondiscendente nei confronti della Repubblica Sociale. Che ne pensa?
«Penso che si sia reso pubblico quello che doveva restare privato e che quegli appunti non siano che la conferma della sua fragilità, del suo sentimento di inadeguatezza e della difficoltà di appartenere e schierarsi ideologicamente».

Però non è vero che non si sia schierato. Pavese prese la tessera del Pci e fu amico di molti intellettuali antifascisti come Leone Ginzburg, Massi­mo Mila, Norberto Bobbio.

«Infatti, ma il suo modo di schierarsi è da cercare nei suoi libri. Chi vuole conoscere Pavese deve leggere i suoi libri. Lì c’è il suo pensiero, ed è espresso in modo chiaro, non in forma di rebus».

Nel 2008 prese parte al film “Il sangue dei vinti” diretto da Michele Soavi, tratto dall’o­monimo libro di Giam­paolo Pansa, che racconta delle e­secuzioni compiute dai partigiani, anch’esso assai controverso.

«Proprio in quell’occasione ebbi modo di leggere degli estratti di Pavese in cui descrive l’effetto dei partigiani che guardando i tedeschi si rivedono in quei morti, mostrando di cogliere perfettamente l’insensatezza di certe azioni».

Lei ha partecipato a diversi film storici tratti da romanzi. Penso a “I viceré” diretto da Roberto Faenza e “La masseria delle allodole” dei fratelli Taviani. Tornando a “La luna e i falò”, mi chiedo se non pensa a un film.
«Mi auguro vivamente che questa lettura non sia l’ultimo anello della catena. L’inten­zione di trasformare questa operazione in un film è forte».

Facciamo un volo pindarico: la maturità tragica a cui è arrivato Pavese può far venire in mente l’adagio shakesperiano messo in bocca a Edgar nel Re Lear: “Maturità è tutto”. Lei interpretò Edmund, il fratello cattivo.
«La maturità è una sorta di capolinea oltre il quale c’è la fine del mondo. Edmund per me ha rappresentato il primo incontro con la legittimazione del male».

Legittimazione?
«Nel senso di riconoscimento. Il male esiste e si può superare se lo si riconosce. In questo senso Shakespeare, come anche Pavese, è molto pratico, cinico, diretto. Il loro sguardo è implacabile e in questo sguardo io vedo tra i due molte assonanze».

Terminiamo con un ricordo di Piera Degli Esposti, un’attrice enorme che ci ha appena la­sciato. Era la Clitemnestra del­l’O­restea diretta da An­to­nio Calenda in cui lei interpretava Oreste..

«Piera era uno spirito sofisticato, la ricordo con grande affetto. Stavamo “facendo la memoria” (ovvero impararare la propria parte, ndr) sul tetto del Teatro Rossetti di Trieste che era in fase di ristrutturazione. Lei aveva i capelli bagnati e mi disse “ti puoi scansare un po’ dal sole che mi fai ombra”?»

Intervista a cura di Alessandra Bernocco