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«La filosofia serve per orientarsi in tempo di crisi»

La chiacchierata di IDEA con Ilaria Gaspari intorno al tema delle emozioni e non solo

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Raggiungiamo Ila­ria Gaspari, classe 1986, scrittrice e astro nascente della filosofia, al telefono. La sua voce è allegra e la velocità con cui le parole trasmettono nell’aria i suoi pensieri ricorda l’energia dei ragazzi, quando raccontano un episodio che li ha colpiti, un incontro interessante o una gita. Nonostante il suo ultimo libro, “Vita segreta delle emozioni”, sia dedicato “a tutti gli sconvolti, gli sperduti, gli agitati, i frammentati”, la scrittrice dichiara di aver utilizzato la stesura di questo testo per un’approfondita analisi interiore che le ha permesso di ironizzare sulla sua ansia.

Ilaria, ha dedicato la sua tesi di dottorato alle passioni nel ‘600. Sono diverse da quelle di oggi?
«Non molto in realtà. Siamo umani e i meccanismi che ci regolano sono rimasti invariati nei secoli. Quello che è cambiato è il giudizio che diamo alle emozioni e il mo­do in cui ci abbandoniamo o resistiamo ad esse. È il filosofo Baruch Spinoza che per primo ha studiato le emozioni in modo moderno, in un’epoca diffidente rispetto ai sentimenti che vedeva l’essere umano passivo rispetto a ciò che sentiva».

Quanto è importante oggi sapere definire con precisione le nostre emozioni?
«Molto, tuttavia è pericoloso pensare di verbalizzare ogni aspetto di quello che viviamo emotivamente, bisogna accettare che una parte resti indicibile. Per questo nel mio libro oltre ai filosofi cito diverse poesie, più vicine al non detto, e faccio incursioni nella mia vita privata per usare una scrittura emozionale, condizionata dal ricordo e dalla rielaborazione successiva di quello che ho sentito. Come le nostre emozioni stesse, che si modificano nel tempo, anche noi siamo in evoluzione continua».

Le emozioni hanno quindi una vita propria, nascono, crescono, evolvono?
«Esattamente. Come matura il nostro rapporto con loro. Ad esempio la nostalgia, oggi narrata come desiderabile dalla moda “vintage” e dalle pubblicità, un tempo era considerata una malattia. L’e­timologia riporta al greco antico e significa letteralmente “dolore per il ritorno”, ci è stato raccontato come il sentimento provato da Ulisse lontano dalla sua isola Itaca. In realtà la parola venne inventata nel ‘600 da uno studioso che analizzò lo stato d’animo dei soldati svizzeri, mercenari in altri eserciti per mancate guerre nazionali, che venivano colpiti da uno strano languore che non permetteva lo­ro di combattere quando a­scoltavano delle canzoni del­la loro terra. Interessante, no?».

Molto. Le emozioni ci travolgono e ci trasformano. Come possiamo governarle?
«Dobbiamo imparare a liberarci del giudizio rispetto alle nostre emozioni. Compren­dere che non serve etichettarle, solo interiorizzare il fatto che è tutto vero nel momento in cui lo sentiamo. Sia la forza travolgente del momento, sia la dolcezza nostalgica con cui lo ricorderemo. Spinoza affermava “Niente di quello che avviene in natura è buono o cattivo. Lo è l’uso che ne facciamo”».

Nel suo libro lei analizza altri sentimenti, qual è il più sottovalutato?
«Sicuramente l’invidia. È una emozione subdola, difficile anche da individuare: ci vuole coraggio ad ammettere di sentirsi inferiore a qualcun altro. Ha a che fare con uno spettro di sensazioni che vanno da una sorta di ammirazione fino al disprezzo dell’altro, colpevole di non meritarsi davvero quello che ha ottenuto. Sfiora anche il disprezzo per sé stessi e l’insicurezza. Scrivendo mi sono dovuta analizzare e ammettere che ho sempre avuto l’ossessione dell’invidia degli altri nei miei confronti. Ho scoperto che è un tratto comune a molte donne, è come se non ci ritenessimo all’altezza, siamo un po’ carenti di amor proprio a volte».

Un’emozione da rivalutare?
«L’ansia. Viene considerata qualcosa di morboso, eccessivo, mentre invece è solo un modo di reagire a uno stimolo esterno. Io sono molto ansiosa e nel libro ci scherzo su. Molti lettori mi scrivono felici che se ne parli finalmente in modo leggero».

Invece il rimpianto?
«Nel libro racconto della volta in cui, a causa di una confusione sulla data, non consegnai in tempo i documenti che mi avrebbero permesso di accedere alla carriera universitaria. Un errore di cui mi vergogno tantissimo che mi ha lasciata di colpo senza casa e senza prospettive lavorative. Fu in realtà un vero punto di svolta: disoccupata, mi sono buttata seriamente sulla scrittura e ho pubblicato il primo romanzo. Questo episodio mi ha insegnato che non puoi controllare quello che desideri. La logica mi avrebbe spinta verso una strada quasi segnata ma i miei desideri andavano, evidentemente altrove».

Allora perché tanto rimpianto per quella svista?
«È difficile ammettere di non essere perfetti. Ci vuole coraggio. Ma in fondo è una sensazione liberatoria mo­strarsi un po’ fragili. Penso sia una gran fatica rendere la propria vita sempre qualcosa di presentabile agli altri».

Studiare filosofia oggi ha ancora senso? Non è anacronistico?
«Ha molto senso proprio oggi. Le correnti filosofiche più dirompenti nascono proprio nei momenti di crisi, in cui svaniscono i punti di riferimento a cui si era ancorati senza che ce ne siano altri all’orizzonte a cui aggrapparsi. La filosofia è anacronistica e proprio per questo sempre attuale, perché svela prospettive inaspettate.

Quale massima filosofica la rappresenta?
«La frase di Epicuro che dice “È inutile il discorso del filosofo che non curi qualche male dell’animo umano”».