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«Da radiologo, scrivo badando alle asimmetrie»

Con il suo romanzo d’esordio, Ilaria Fulle cattura l’attenzione e allo stesso tempo fa riflettere

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«L’educazione sentimentale comincia da piccoli e si perfeziona nell’adolescenza, perciò ritengo che certe tematiche, nei modi opportuni, debbano essere affrontate e non evitate. Questo è il motivo per cui ho deciso di ammorbidire il tema della violenza sulle donne, facendolo viaggiare all’interno di un romanzo dalla trama coinvolgente, che possa conquistare lettori di ogni età a partire dalla seconda metà dell’adolescenza in su.
La violenza sulle donne ci raggiunge purtroppo quasi quotidianamente dai notiziari, ma dopo una prima attenzione tendiamo a tornare nel nostro “guscettino” di quotidianità e ce ne dimentichiamo. Invece oc­corre parlarne, senza essere ossessionati. Bisogna avere le idee chiare a riguardo e chiarire le idee ai giovani».
Le condivisibili osservazioni sono di Ilaria Fulle, di professione radiologo a Torino e Cu­neo, e mamma di sei figli, la quale ha da poco dato alle stampe “Stella acuta notturna”, un’opera di narrativa che tiene incollati alle pagine ma sa anche far riflettere.
Dottoressa Fulle, il romanzo tratta il tema della violenza sulle donne affidandone il racconto a un thriller davvero coinvolgente. Cosa è venuta prima: la scelta del tema o del genere letterario?
«Senz’altro la trama: volevo raccontare questa storia che mi frullava nella testa, ma ovviamente il genere thriller mi ha sempre appassionato, in realtà questo romanzo ha avuto una genesi lunghissima: avevo cominciato a scriverlo parecchio tempo fa, poi mi ero interrotta e quando l’ho ripreso in mano con l’intenzione di portarlo a termine mi sembrava che qualcosa non funzionasse. La volontà di trattare il tema della violenza di genere aveva come prevaricato gli altri aspetti di cui si compone un romanzo, era in qualche modo totalizzante. Ho capito allora che era necessario veicolare il messaggio in maniera meno esplicita e, soprattutto, più intrigante, costruendo un intreccio che portasse il lettore a voler sapere come sarebbe andata a finire, senza rinunciare a farlo riflettere, a suscitare delle domande».
Ciò a cui si pensa leggendo è di certo al rischio dell’oblio delle vittime…
«Sì, l’oblio è uno dei temi centrali. Nel testo ricorrono spesso riferimenti al timore di esser dimenticate, di andare a ingrossare le anonime fila delle vittime di violenza di genere. Non a caso sia il titolo che la poesia inserita nel frontespizio rimandano al concetto di oblio. Ma pen­so che in questo romanzo si possa rintracciare anche mol­to altro, dalla riflessione sul­l’etica medica al discorso sull’educazione sentimentale».
Questo mi pare un punto centrale, ben incarnato dalla contrapposizione tra i principali personaggi maschili.
«Luca e Fulvio sono uno il contraltare dell’altro. Il pri­mo è l’uomo che può giungere a compiere gesti folli, pur non essendo matto. È anzi molto lucido nel perseguire il suo intento, nel cercare di ottenere quel che vuole. E proprio qui sta il punto: lui non ama, vuole. Il secondo è Fulvio, che po­tremmo definire “l’anti-macho”, ma anche l’esemplificazione del vero amore e del rispetto, che non si impone ma è sempre e comunque presente. Forse dovremmo cambiare la no­stra idea del principe azzurro, quello che arriva e salva la principessa tagliando la testa al mostro (una visione che, oltre a essere antiquata, è anche sessista) e pensare al principe azzurro come a un compagno che c’è sempre, senza imporsi».
La sua attività di radiologo ha inciso in qualche modo sulla sua scrittura?
«Al di là di particolari dell’universo ospedaliero che magari conosco meglio di altri, non credo. È vero che noi radiologi siamo gli Sherlock Holmes della medicina, alla costante ricerca delle piccole differenze, delle asimmetrie rispetto alla normalità, sempre attenti ai particolari. Ecco, forse quel che ho messo a frutto anche nella scrittura è l’attenzione a non trascurare i dettagli».
E poi Alex è un radiologo, bionda con i ricci…

«Vero, un po’ mi ci rivedevo, ma i personaggi sono tutti inventati. Tranne il cane: era davvero il mio cane ed era davvero così».
Le persone vicine a lei sapevano che avrebbe pubblicato un romanzo?
«Credo di avere più volte confessato ad amici e colleghi di avere la passione della scrittura e di essere alle prese con la stesura di un romanzo, ma sono convinta che in pochi mi abbiano preso sul serio, perciò per molti è stata una sorpresa. Riguardo la mia famiglia invece ovviamente ho tormentato tutti quanti da un paio di anni a questa parte e mi sono stati tutti di grande supporto, sia nei momenti in cui ero affetta dal famoso “blocco dello scrittore”, sia a romanzo ultimato nello stressante periodo della pubblicazione. Sì, perché scrivere una storia è solo una delle fasi che portano alla pubblicazione di un libro, poi c’è la ricerca della casa editrice giusta e che accetti di farti uscire, da esordiente, l’editing, lo studio della copertina, del titolo. Insomma un lavoro di squadra. A proposito un ringraziamento particolare alla mia collega Claudia Manini, medico e autrice del bellissimo dipinto “Freddo” da cui è stata elaborata la copertina.
Direi che comunque ne è valsa la pena perchè le recensioni sono state positive e questo mi ripaga di tutte le fatiche e le notti insonni».
Ha altri lavori in serbo?
«Sto lavorando in parallelo a due libri. Il primo è un altro romanzo, pieno di donne interessanti, ma che affronta altri temi e con toni molto diversi, meno thriller. Il secondo è una raccolta di racconti, tutti incentrati su vite un po’ “compresse” a cui a un certo punto succede qualcosa che le stravolge. I racconti sono una bella sfida per chi scrive, un esercizio molto divertente ma anche molto difficile, in cui si deve riuscire a tirare fuori l’essenziale in poco spazio».

BaNNER
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